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Cronache
Iardino, ultima giornata Aids dopo 40 anni: "Medici? Adesso tutti sul Covid"
Rosaria Iardino e Fernando Aiuti, il bacio del 2 dicembre 1991

Giornata mondiale contro l'Aids, dal 1991 anno che immortalò come "la ragazza del bacio" Rosaria Iardino all'impatto della pandemia e alla stigmatizzazione che non lascia la società

A quaranta anni dalla scoperta dei primi casi di Hiv, "un primo dicembre diverso dagli altri, che faccia il punto sulla strada percorsa fino a oggi e su quella che c'è ancora da fare". È l'augurio per oggi di Rosaria Iardino, giornalista e attivista contro l'Hiv e l'Aids, positiva al virus dall'età di 17 anni e conosciuta da tutti come "la ragazza del bacio", per lo scatto che la immortalò il 2 dicembre 1991 bocca a bocca con l'immunologo Fernando Aiuti (scomparso nel 2019) a un congresso sull'Aids. Un "bacio di protesta" che arrivò all'indomani della pubblicazione di un articolo sul Mattino di Napoli che sosteneva che l'Hiv si poteva contrarre anche con un bacio. Oggi Rosaria vive a Milano, con sua moglie Chiara e le due figlie. In occasione della Giornata mondiale contro l'AidsAffaritaliani.it l'ha intervistata, facendo luce anche sull'impatto del Covid, tra diagnosi mancate o tardive. Nel 2020 secondo l'Iss la riduzione dei casi diagnosticati di Aids dai 605 del 2019 ai 352 potrebbe ricondursi alla difficoltà di accesso ai test a causa del Covid.

Nel 1991 il bacio con Aiuti colpì nel segno. Da quello scatto a oggi quale strada è stata percorsa?

La strada percorsa è tanta. Dal punto di vista clinico nel 1991 non c'era ancora il cocktail di farmaci che ha cambiato la prospettiva di vita delle persone con Hiv. Oggi hanno un'aspettattiva pari agli altri se aderente al trattamento farmacologico. Quindi è cambiata anche la presenza delle persone nella società. Si lavora, si fanno figli regolarmente, perché con il trattamento non si trasmette più l'infezione. Io credo che manchino due ultime miglia da percorrere al contrasto dell'Hiv e dell'Aids. Il primo miglio è un vaccino risolutivo. Ma purtroppo è ancora lontano. La grande sciocchezza è ritenere che mentre per il Covid il vaccino è stato trovato "perché le multinazionali ci mangiano su" per l'Hiv non si trovi perché non c'è interesse. Non è così, il virus dell'Hiv è molto più complesso e trovare un vaccino è estremamente difficile. Alle terapie che prevedono una pasticca al giorno a breve si aggiungerà un'altra modalità di somministrazione, un'iniezione ogni due mesi, basata su un farmaco a rilascio rallentato, ma più di questo le industrie farmaceutiche non possono. Inoltre non è trascurabile che in Italia non ci sia discriminazione per accedere ai farmaci. L'infettivologo ti dà la terapia più idonea per te e tutti possono accedere gratuitamente ai farmaci. Cosa che non avviene negli Stati Uniti o anche nell'est Europa. L'altro miglio riguarda lo stigma che, è vero, esiste ancora.

Al congresso ICAR di ottobre lo aveva ribadito il direttore regionale dell'Oms per l'Europa, Hans Kluge, "la stigmatizzazione è ancora troppa", invitando a non trascurarla per "porre fine all'Aids entro il 2030".

Sì, è uno stigma che nasce da un pezzetto di società che immediatamente se si parla di Hiv ti identifica in un atteggiamento che non condivide, come l'omosessualità, ad esempio. Per cui ci sono ancora persone che non rivelano di essere positive negli ambienti di lavoro, ai propri amici, per paura di essere discriminati. Questo non si supera con leggi e provvedimenti, ma solo se cambiamo prima di tutto noi con l'Hiv il nostro atteggiamento. Mi piacerebbbe un coming out generale di tutte le persone con l'Hiv che vivono in Italia. Solo insieme possiamo far capire che siamo semplicemente persone che hanno contratto una patologia, che non dobbiamo vergognarcene ma spendere le nostre energie a contrastare l'infezione e non la società. 

Lei da cinque anni è alla guida dell'associazione The Bridge. Di che cosa si occupa?

Io quest'anno ho annunciato che per me sarà l'ultimo primo dicembre da attivista contro l'Aids, ma mi occuperò ancora delle politiche in merito. La fondazione si occupa di monitorare le politiche pubbliche e di sanità per aiutare le istituzioni, far comprendere alle associazioni di pazienti e clinici che c'è un modo differente di stare insieme. Tramite le nostre analisi evidenziamo alle istituzioni quali possono essere le storture del sistema. Diamo una mano a far comprendere che l'informazione è fondamentale per stare bene. La nostra mission principale è salvaguardare l'universalismo del Servizio sanitario nazionale. Abbiamo, ad esempio, fatto presente al ministro Speranza il problema delle assicurazioni private che permettono di avere diagnosi private solo a chi può permettersele, creando disuguaglianze considerevoli tra la popolazione.

I giovani oggi come si rapportano all'Hiv?

I giovani non sanno niente. Sono ritornati a credere che il coito interrotto sia l'atteggiamento più sano da tenere e che visto che ci sono i farmaci l'Hiv se te lo prendi che ci fa. Questo perché nessuno ha mai più fatto interventi nelle scuole. C'è una responsabilità. Un passo dovrebbe esser fatto in tal senso dal ministro dell'istruzione Bianchi e da Speranza.

Passando alla pandemia, ha impattato sui reparti di malattie infettive penalizzando i pazienti con Hiv. In che misura?

I nostri riferimenti, gli specialisti di malattie infettive, sono stati, non poteva essere altrimenti, cooptati per il Covid. Hanno provato a fare quello che potevano. Però ribaltando in positivo, è risultato evidente che il paziente Hiv non deve più essere ospedalocentrico ma, proprio come si sta ridisegnando la sanità pubblica, con i distretti, con le case di comunità e con le farmacie, può essere preso in carico. Va colta l'opportunità della pandemia proprio per ridisegnare la presa in carico delle persone con Hiv.

Si è parlato, in merito alle analogie tra il Covid e l'Hiv, degli anticorpi monoclonali come ulteriore soluzione.

Su questo ci sono tanti studi ma ancora non ci sono evidenze così chiare. Tutte le suggestioni possono portare lì, però su questo sono prudente. Devono essere le evidenze scientifiche a stabilire se potranno diventare trattamenti.

 

 

 

 

 

 

 

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