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Cronache
Gherardo Colombo: "Il carcere non serve. Giustizia? Piena di errori"

di Lorenzo Lamperti
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@LorenzoLamperti

"Il carcere non serve a nulla". L'ex grande pm Gherardo Colombo ha le idee chiare sui problemi della giustizia italiana e sulle possibili soluzioni. Soluzioni diverse da quelle dell'ex collega dei tempi di Mani Pulite Piercamillo Davigo, neo presidente dell'Anm, in particolare per quanto riguarda pena e detenzione. Mentre è nuovamente esploso lo scontro tra magistrati e governo, Colombo non vuole entrare nelle polemiche. Ma, in un'intervista ad Affaritaliani.it, spiega con voce ferma e sicura che cosa dovrebbero fare politica e magistratura per superare i problemi e far funzionare la giustizia italiana.

Gherardo Colombo, è un momento molto difficile per la giustizia italiana, tra polemiche, scontri e riforme non condivise da tutti. Che cosa servirebbe alla nostra giustizia per funzionare?

Devo premettere che sarebbe necessario pensare a un tipo di giustizia diverso perché possa funzionare nel senso di garantire una maggiore sicurezza ai cittadini ed essere più effettiva ed efficace. Bisognerebbe dare uno spazio molto maggiore alle misure alternative, alle misure di comunità. Insomma, a quello che non è carcere, come l'affidamento ai servizi sociali, la messa alla prova, i lavori di pubblica utilità o la detenzione domiciliare. Purché tutto questo sia accompagnato da un percorso trattamentale che aiuti le persone a rieducarsi, come dice la Costituzione. Io direi anche a recuperare la capacità di essere in relazione positiva con gli altri. Bisognerebbe introdurre gli istituti della giustizia riparativa per l'effettivo recupero delle persone attuando finalmente quanto dice l'articolo 27 della Costituzione che dice che la pena non può consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e che deve tendere alla rieducazione del condannato.

Tra l'altro questa è la direzione verso la quale sta andando l'Europa, o no?

Sì, certo. L'Europa ha preso questa direzione sia sotto il profilo della giustizia riparativa sia sotto il profilo del divieto di trattamenti degradanti, come dimostra la sentenza dell'altro giorno del tribunale di Oslo su Breivik. Questo è un aspetto molto importante perché riguarda direttamente la sicurezza. Se si riesce a fare in modo che le persone che escono dal carcere commettano nuovi reati saremmo tutti più sicuri. Oggi invece, in Italia, il 69% di chi esce dal carcere poi ci rientra.

La giustizia riparativa potrebbe servire anche per evitare quel fenomeno tanto temuto negli ultimi tempi che è il proselitismo e la radicalizzazione nelle carceri?

Certo. La Gran Bretagna ha preso la strada di evitare il concentramento delle persone in carcere per evitare il proselitismo dando spazio alle misure alternative. Questa dovrebbe essere una tendenza generalizzata perché molto spesso in carcere si fa proselitismo per quel che riguarda qualsiasi tipo di reato. C'è poi l'aspetto che riguarda il processo. Dobbiamo cambiare completamente il sistema abbandonando la convinzione che alla devianza si risponde con la pena.

In Italia, tra politica e magistratura, vede la volontà di cambiare e migliorare la giustizia oppure siamo bloccati?

Siamo bloccati, sicuramente. La giustizia italiana funziona malissimo. Sarebbe necessario cambiare le regole del processo e anche tante regole sostanziali, procedere a una depenalizzazione di buona consistenza, rimettere ordine nei reati. Tutto il codice penale dovrebbe essere rivisto. D'altronde è un codice che risale al periodo fascista. Allo stesso modo bisognerebbe rivedere tutto il codice di procedura penale.

In questo periodo si parla molto di legittima difesa. E' davvero questa la priorità in materia di giustizia?

Il Parlamento non sempre è disponibile a promuovere leggi e disposizioni che aiutino la giustizia a funzionare. Molto spesso risponde invece alle spinte emotive della popolazione, come nel caso della legittima difesa o dell'omicidio stradale. E così si fanno o si propongono leggi che solo apparantemente aumentalo la sicurezza ma in realtà fanno generalmente proprio il contrario. Prendiamo l'esempio della legittima difesa: più si amplia la legittimità della risposta privata e più chi delinque si attrezzerà di conseguenza e diventerà quindi più pericoloso. Ma non lo si capisce, o non lo si vuole capire.

Un altro tema caldo è quello delle intercettazioni e la pubblicabilità sui giornali. Secondo lei serve una riforma?

E' un tema molto più legato al costume che non alle regole. E il costume lo si cambia con interventi educativi e non legislativi.

Quali sono le condizioni di lavoro di un magistrato in Italia?

I magistrati, e i giudici in particolare, dovrebbero avere a disposizione dei mezzi adeguati. Per esempio dovrebbero avere un ufficio. Così come i grandi studi legali hanno dei giovani che collaborano e gli avvocati che dirigono il lavoro anche i giudici dovrebbero poter fare lo stesso. Un giudice dovrebbe soltanto prendere la decisione. Invece deve andare anche a cercarsi tutta la giurisprudenza del caso, scrivere la parte relativa al fatto e tutto il resto. Quando lavoravo in Cassazione io non avevo neanche una stanza e mi dovevo fare da solo le fotocopie. Se dovevo cercare una carta in mezzo a decine di faldoni non c'era nessuno ad aiutarmi.

E poi ci si lamenta dei tempi dei processi...

Sì, è un controsenso. Comuqnue voglio sottolineare che io ho grande stima del ministro Orlando che sta facendo bene per quello che può. Ma credo bisognerebbe proprio riallocare le risorse in modo diverso.

Quali sono invece le responsabilità o le mancanze interne alla magistratura?

I problemi interni alla magistratura si possono sostanzialmente dividere in tre categorie: organizzazione, laboriosità e deontologia. Partendo dal primo aspetto, i magistrati spesso non sanno neanche come organizzare il proprio ufficio. Molti pm, per esempio a Milano, lavorano in uffici con migliaia di persone, Bisogna essere capaci a organizzare un ufficio del genere e se non si è in grado per dote divina bisogna imparare. Per questo dovrebbero esserci dei corsi di formazione. Secondo: la laboriosità. Io conosco tanti pm che lavorano più di quanto dovrebbe essere umanamente richiesto. Non smettono mai, neppure il sabato e la domenica. Ma la verità è che non è così per tutti e non è così dappertutto, anzi. Bisogna riequilibrare. Terzo: la deontologia. Vedo, non in tutti i magistrati sia chiaro, una scarsa cura della sostanza. Il lavoro del magistrato in campo penale è di una delicatezza incredibile. Si interferisce con la libertà delle persone e con la loro reputazione. La cautela dovrebbe essere eccezionale, così come dovrebbe essere assolutamente eccezionale l'attenzione all'articolo 3 della Costituzione che riconosce la dignità di tutte le persone in quanto persone. E invece non sempre viene rispettata la dignità di coloro che commettono un reato. C'è poi un ultimo grande problema.

Quale?

Il numero degli avvocati, che in Italia sono troppi. Nel solo Lazio ci sono tanti avvocati quanti ce ne sono in tutta la Francia. Chiaramente quando gli avvocati sono così tanti va a finire che le cause aumentano a dismisura.

Lei auspica un cambiamento radicale della nostra giustizia. Crede sia possibile metterlo in pratica?

Non sarebbe nemmeno così difficile intervenire su questi aspetti che ho elencato. Purtroppo credo che in Italia non si voglia che la giustizia funzioni perché se funzionasse  ci sarebbe un controllo molto più efficace su tutto ciò che ha a che fare con la corruzione, con l'evasione fiscale e tutto il resto. Mi riferisco anche alle piccole cose che rientrano comunque nella sfera della corruzione, anche se magari la gente non ci pensa neanche, come per esempio il caffè gratis al vigile che nel frattempo non si accorge che i clienti del bar hanno l'auto in seconda fila o in divieto di sosta. E' una corruzione banale ma è pur sempre una corruzione.

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