Cronache
La giustizia non esiste

La gente non distingue fra legale e illegale, ma fra giusto e ingiusto. E crede che il giusto dovrebbe coincidere col legale
Riflessioni sul giusto e sull'ingiusto
Giustizia, Certi concetti appaiono talmente evidenti che ci sembra ozioso discuterne. Tutti sanno che cosa siano la bontà e la cattiveria, l’onestà e la disonestà, la giustizia e l’ingiustizia. Addirittura, per quanto riguarda la giustizia, la invochiamo come se fosse una divinità che può venire in nostro soccorso. Poi, con inenarrabile disappunto, scopriamo che il nostro giusto per altri è ingiusto, con le conseguenze del caso. Così, a forza di brutte esperienze, diveniamo diffidenti. “Vuoi vedere che con la giustizia è come con le banche, che ti aiutano quando non ne hai bisogno e ti lasciano a piedi quando sei nei guai?”
In natura fra specie diverse la legge non esiste. In sé la predazione non è conforme alla giustizia, ma è certamente conforme alla natura. Viceversa la violenza intraspecifica è normalmente vietata dall’istinto, perché nociva alla sopravvivenza della specie. Tutti gli animali lottano per il territorio o per il diritto di accoppiarsi con le femmine ma in questi scontri normalmente nessuno viene ucciso. Il più forte tramanderà i suoi geni, ma è bene che il più debole non muoia. Un domani potrebbe anche sostituire il vincente.
All’interno della stessa specie esiste dunque la legge intendendo per essa “i comportamenti che l’istinto impone a tutti i membri del branco”. E noi uomini non facciamo eccezione. Tuttavia abbiamo un’intelligenza superiore, disponiamo del linguaggio e trasformiamo ciò che comanda l’istinto in dovere di tutti (legge), con conseguente sanzione per chi non lo rispetta.
Se – salvo che in caso di guerra - l’omicidio è condannato da qualunque gruppo umano, anche il più primitivo, è perché esso è contrario agli interessi della specie. Perfino la sanzione applicata all’omicida è nell’interesse della collettività. Con essa si punisce o si elimina un individuo pericoloso per la società (prevenzione generale). Ecco la radice della legge. Che sia un aborigeno dell’Australia o un ingegnere di New York, per l’uomo è giusto tutto ciò che favorisce la specie e ingiusto tutto ciò che la mette in pericolo. Ecco perché uccidere bambini è sentito come un abominio. Le leggi poi si moltiplicano e finiscono col comporre un corpus coerente chiamato ordinamento giuridico. Un regolamento mirante alla convivenza e non al singolo: si chiama “principio dell’alterità della legge”.
Ma queste considerazioni non sono alla portata di tutti. Spesso – soprattutto fra i non giuristi - rimane vivo il sostrato che genera la legge: il sentimento della giustizia. Infatti la gente non distingue fra legale e illegale, ma fra giusto e ingiusto. E crede che il giusto dovrebbe coincidere col legale.
In questo sbaglia due volte. Dimentica che il giudizio del singolo sul giusto e sull’ingiusto è personale, e la controparte potrebbe non condividerlo; e dimentica che nessuno può sfuggire all’influenza del proprio interesse sul sentimento della giustizia. Per questo i romani stabilirono il principio: “Nemo iudex in re sua”, nessuno sia giudice se è personalmente interessato alla faccenda.
Tuttavia facendo incarnare il sentimento della giustizia in una legge scritta, obiettiva e precostituita, l’uomo spoglia la norma della sua coazione morale. Ad essa si obbedisce “perché è lì”, perché è “Gesetze”, che in tedesco vuol dire “legge” ma anche qualcosa che è “gesetz”, “posto”, “dato”. Un imperativo oggettivato che non deve fornire giustificazioni. È del tutto inutile dire: “Non è giusto” se quell’ingiustizia non è prevista dalla legge. E al contrario il fatto che una legge possa essere giudicata ingiusta (si pensi alle orrende leggi razziali) non la rende meno cogente.
Il sentimento della giustizia rimane però essenziale “de iure condendo”, cioè nel momento in cui si creano le leggi: infatti esso costituisce la Stella Polare del legislatore (cioè del Parlamento). Se in seguito la “ratio legis” è materia per i teorici del diritto, nel momento in cui si approva la legge è lo scopo stesso per cui viene posta. Ma, una volta votate, le leggi vivono di vita propria. Hanno il vantaggio dell’imparzialità e lo svantaggio della rigidità.
Anche se è immortale, nella vita di ogni giorno il sentimento della giustizia è un residuo arcaico cui sarebbe bene rinunciare. Possiamo certo esprimerlo, ma sapendo che appartiene alla morale e non al diritto positivo.