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Cronache
Mafia-appalti, De Donno: "Accanimento su di noi. Ecco i nemici di Borsellino"
Il capitano Giuseppe De Donno e sullo sfondo Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

Mafia-appalti, l'ex colonnello De Donno ad Affari: "Accanimento su di noi". E sulle stragi...

“Sono contento per l’esito finale”. Con queste parole l’ex colonnello Giuseppe De Donno ha commentato su Affaritaliani.it la decisione – anzi, le motivazioni – con cui la Corte di Cassazione lo ha assolto con formula piena nel processo relativo alla presunta “Trattativa Stato-mafia”.

La sua voce non tradisce risentimento per gli oltre 15 anni d'indagini che lo hanno visto imputato, nell’ambito di una delle inchieste politiche e giudiziarie più intricate di sempre. Ma ora che è in uscita il libro scritto a quattro mani con l’ex generale Mario Mori, di cui Affaritaliani.it ha dato un’anticipazione, qualche “sassolino dalla scarpa” ha deciso di toglierselo.

LEGGI ANCHE: Trattativa Stato-Mafia, su Affari l'incontro segreto De Donno-Mori-Borsellino

Un commento sulle motivazioni della Suprema Corte che l’ha assolta perché “il fatto non sussiste”

Sicuramente sono contento per l'esito finale di tutta questa storia. Certo ci sono voluti oltre 15 anni, ma quello che conta è che la Cassazione ha riconosciuto la nostra totale estraneità ai fatti contestati e “richiamato” sia i Pm sia le corti che ci hanno giudicato sul metodo applicato. Visto che erano stati fatti sforzi investigativi immani per perseguire anche fatti o tesi che nulla avevano in comune con i reati a noi contestati. Con le nostre assoluzioni, di fatto, è stata riscritta la storia, in quanto è stata totalmente sconfessata la tesi accusatoria che voleva lo Stato in rapporti con Cosa Nostra. Qui non solo si accusavano le singole persone ma si metteva sotto accusa l'intero apparato governativo italiano, con accuse infamanti e gravissime.

Si è sentito in qualche modo perseguitato dalla giustizia?
Noi perseguitati? Magari di persecuzione non parlerei, ma di un accanimento senza precedenti sì. E credo che il nostro caso non sia stato isolato nella storia giudiziaria italiana.

La ragione che ha spinto Lei e Mori a scrivere un libro sul dossier “mafia-appalti”?

La ragione di questo libro sta nella volontà di raccontare un impegno pluriennale in cui ci è stato più volte impedito di giungere ai risultati finali. Con il nostro lavoro dimostravamo che mafia, imprese e politici si spartivano gli appalti pubblici da buoni amici, senza necessità di minacce. Un accordo paritetico che portava vantaggi a tutti ma che da un punto di vista giudiziario ci avrebbe portato a contestare a tutti l'associazione mafiosa, il 416-bis del codice penale.

Paolo Borsellino aveva parlato della procura di Palermo come di un “nido di vipere”. Lei cosa ne pensa?
La Procura di Palermo non ha mai brillato per serenità, comunione di intenti o amicizia. Basti ricordare le vicende del corvo di Palermo, quelle degli attacchi a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Basti pensare agli attacchi che subiva lo stesso Falcone a Palermo: leggendo i verbali del CSM per le varie controversie ci si rende conto di cosa dicessero i colleghi di lui. Lo prendevano anche in giro. E non dimentichiamo il periodo di arrivo del dottore Borsellino a Palermo dove addirittura gli venne negata la delega a indagare in città.

I principali nemici di Borsellino erano proprio in procura, a iniziare dal procuratore capo Giammanco che aveva fatto di tutto per non permettergli di indagare sul dossier Mafia-appalti. Gli aveva negato la delega a indagare sul territorio palermitano, lo teneva lontano dai grandi temi e solo la mattina della strage alle 7.30 si premurò di comunicargli che aveva deciso di inserirlo nel gruppo di lavoro sul capoluogo siciliano.

C’è chi ipotizza che il vero mandante delle stragi non fu la criminalità organizzata…
Mi sta chiedendo se i mandanti delle stragi siano all’interno della procura? Questo non posso dirlo con certezza, ma certamente possiamo esser certi che in quegli uffici vi fossero i veri nemici del dottor Paolo Borsellino.

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