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Cronache
Papa Francesco cancella la messa in latino. Nuova polemica in Vaticano

"Mi rattrista un uso strumentale del Missale Romanum del 1962, sempre di piu' caratterizzato da un rifiuto crescente non solo della riforma liturgica, ma del Concilio Vaticano II, con l'affermazione infondata e insostenibile che abbia tradito la Tradizione e la 'vera Chiesa'". Cosi' Papa Francesco nella Lettera ai vescovi di tutto il mondo per presentare il Motu Proprio "Traditionis Custodes" sull'uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma del 1970. In pratica sulle messe celebrate in rito antico. Se Benedetto XVI, per venire incontro ai lefebvriani e ad altri tradizionalisti, aveva liberalizzato il messale preconciliare, ossia la cosiddetta "messa in latino" (Motu proprio "Summorum pontificum" del 2007), Francesco modifica le norme delle celebrazioni nella liturgia precedente il Concilio. 

 "Mi addolorano - scrive il Pontefice nella Lettera ai vescovi - allo stesso modo gli abusi di una parte e dell'altra nella celebrazione della liturgia. Al pari di Benedetto XVI, anch'io stigmatizzo che 'in molti luoghi non si celebri in modo fedele alle prescrizioni del nuovo Messale, ma esso addirittura venga inteso come un'autorizzazione o perfino come un obbligo alla creativita', la quale porta spesso a deformazioni al limite del sopportabile'". Francesco spiega la decisione di abrogare le norme precedenti, ricordando i motivi che avevano mosso Giovanni Paolo II e Benedetto XVI a concedere la possibilita' di usare il Messale Romano promulgato da San Pio V, edito da san Giovanni XXIII nel 1962. Il Motu Proprio 'Ecclesia Dei' del 1988, vi era la volonta' di favorire la ricomposizione dello scisma con il movimento guidato da monsignor Lefebvre. Quella facolta' "venne interpretata da molti dentro la Chiesa come la possibilita' di usare liberamente il Messale Romano promulgato da san Pio V, determinando un uso parallelo al Messale Romano promulgato da san Paolo VI". Bergoglio ricorda anche che "per regolare tale situazione, Benedetto XVI intervenne sulla questione a distanza di molti anni, regolando un fatto interno alla Chiesa, in quanto molti sacerdoti e molte comunita' avevano 'utilizzato con gratitudine la possibilita' offerta dal Motu proprio' di San Giovanni Paolo II. Sottolineando come questo sviluppo non fosse prevedibile nel 1988, il Motu proprio Summorum Pontificum del 2007 intese introdurre in materia 'un regolamento giuridico piu' chiaro'". 

 A sostenere la sua scelta era la convinzione che il tale provvedimento "non avrebbe messo in dubbio una delle decisioni essenziali del Concilio Vaticano II, intaccandone in tal modo l'autorita': il Motu proprio riconosceva a pieno titolo che 'il Messale promulgato da Paolo VI e' la espressione ordinaria della lex orandi della Chiesa cattolica di rito latino'". A distanza di tredici anni, spiega Bergoglio, "ho incaricato la Congregazione per la Dottrina della Fede di inviarVi un questionario sull'applicazione del Motu proprio Summorum Pontificum. Le risposte pervenute hanno rivelato una situazione che mi addolora e mi preoccupa, confermandomi nella necessita' di intervenire. Purtroppo l'intento pastorale dei miei Predecessori, i quali avevano inteso 'fare tutti gli sforzi, affinche' a tutti quelli che hanno veramente il desiderio dell'unita', sia reso possibile di restare in quest'unita' o di ritrovarla nuovamente', e' stato spesso gravemente disatteso. Una possibilita' offerta da san Giovanni Paolo II e con magnanimita' ancora maggiore da Benedetto XVI al fine di ricomporre l'unita' del corpo ecclesiale nel rispetto delle varie sensibilita' liturgiche e' stata usata per aumentare le distanze, indurire le differenze, costruire contrapposizioni che feriscono la Chiesa e ne frenano il cammino, esponendola al rischio di divisioni". Ecco la decisione "di abrogare tutte le norme, le istruzioni, le concessioni e le consuetudini precedenti al presente Motu Proprio, e di ritenere i libri liturgici promulgati dai santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformita' ai decreti del Concilio Vaticano II, come l'unica espressione della lex orandi del Rito Romano". 

La responsabilita' di regolare la celebrazione secondo il rito preconciliare torna al vescovo, moderatore della vita liturgica diocesana: "e' sua esclusiva competenza autorizzare l'uso del Missale Romanum del 1962 nella diocesi, seguendo gli orientamenti dalla Sede Apostolica". Il vescovo dovra' accertare che gruppi che gia' celebrano con il messale antico "non escludano la validita' e la legittimita' della riforma liturgica, dei dettati del Concilio Vaticano II e del Magistero dei Sommi Pontefici". Le messe con il rito antico non si terranno piu' nelle chiese parrocchiali, il vescovo stabilira' la chiesa e i giorni di celebrazioni. Le letture dovranno essere "in lingua vernacola" usando le traduzioni approvate dalle Conferenze episcopali. Il celebrante sara' un sacerdote delegato dal vescovo. A quest'ultimo spetta anche di verificare l'opportunita' di mantenere o meno le celebrazioni secondo il messale antico, verificandone la "effettiva utilita' per la crescita spirituale". E' infatti necessario che il sacerdote incaricato abbia a cuore non solo la dignitosa celebrazione della liturgia, ma la cura pastorale e spirituale dei fedeli. Il vescovo "avra' cura di non autorizzare la costituzione di nuovi gruppi". I preti ordinati dopo la pubblicazione dell'odierno Motu proprio, che intendono celebrare con il messale preconciliare "devono inoltrare formale richiesta al Vescovo diocesano il quale prima di concedere l'autorizzazione consultera' la Sede Apostolica". Mentre quelli che gia' lo fanno dovranno chiedere al vescovo diocesano l'autorizzazione per continuare a usarlo. Gli Istituti di vita consacrata e le Societa' di vita apostolica, "a suo tempo eretti dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei" passano sotto la competenza della Congregazione per i Religiosi. I Dicasteri del Culto, e dei Religiosi vigileranno sull'osservanza di queste nuove disposizioni.

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