Poliziotto in carcere per le accuse (false) di un pentito - Affaritaliani.it

Cronache

Poliziotto in carcere per le accuse (false) di un pentito

Undici anni di infinito calvario. Prima il carcere, poi i domiciliari. Infine l'assoluzione definitiva. E' l'incredibile storia di un poliziotto, accusato di essere un trafficante di droga da un collaboratore di giustizia. "Ma adesso non ho più un soldo".

Il protagonista di questa allucinante vicenda è Mauro Di Furia, vicesovrintendente capo della polizia di Stato e dirigente del Sap (Sindacato agenti di polizia), in servizio a Viterbo. Tutto comincia nel 2005, quando un collaboratore di giustizia l’aveva accusato, insieme con altri colleghi e un dirigente, di essere un trafficante di droga.

Di Furia finisce in carcere. Si fa quasi un anno di isolamento. Poi viene messo ai domiciliari. “Quel pentito ce l’aveva con noi perché aveva circa 80 capi di imputazione" ha spiegato l’agente Di Furia, "accusarci era l’unico modo per vedersi alleviare la pena”.

"La cosa che mi ha più segnato in questi anni è il fatto di potersi trovare rinchiuso, ristretto in carcere, sapendo di essere innocente e di non riuscire a dimostrarlo in breve tempo”, ha raccontato al Tg5. Dopo anni di udienze e processi, nel dicembre 2014 viene assolto in appello con formula piena. Ora la Cassazione ha confermato l'assoluzione che è diventata definitiva.

Ma quell'episodio ha segnato Di Furia, come lui stesso racconta a Il Giorno: "La mia vita è devastata. Ho passato cinque anni sospeso dal servizio con lo stipendio ridotto all’assegno alimentare. Con le spese per difendermi, l’avvocato e tutto il resto. Ho dovuto vendere la casa che avevo comperato con la mia famiglia. Non ho più un soldo".