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Cronache
Roma, Zingaretti inside: così Zar Nicola finisce all'angolo. E con lui Bettini

di Donato Robilotta

Mentre tutti davano per scontata la candidatura di Zingaretti a sindaco di Roma, arriva prima la presa di posizione dell’ex premier Conte, che dichiara pieno sostegno alla Raggi, e a seguire la dichiarazione delle assessore del M5s, Lombardi e Corrado, che parlano di un paradosso per la candidatura del Presidente della Regione, a sbarrare la strada a Zingaretti e a chiudere la partita.

In altri termini arriva forte e chiaro il messaggio che il M5s non può non sostenere la Raggi e se Zingaretti si candidasse le due assessore del M5s, che proprio il Presidente della Regione aveva voluto in giunta, si dimetterebbero.

Infatti subito dopo arriva la dichiarazione di Gualtieri che annuncia la sua candidatura alle primarie del centro sinistra. Las partita si chiude, Zingaretti è stato obbligato a ritirarsi, ed ora il cosiddetto campo largo, al quale aveva lavorato Bettini, si ritrova a Roma con ben tre candidati: Gualtieri, Calenda e Raggi.

Zingaretti, al di là delle pressioni dei vertici del Nazzareno, aveva pensato sul serio di candidarsi ma aveva chiesto garanzie di un solido accordo sui 5 stelle e soprattutto che si riuscisse a non far coincidere le elezioni capitoline con quelle alla Pisana, in modo da poter gestire diversamente le due partite.

Zingaretti, da segretario del Pd, aveva lavorato con Bettini alla costruzione del Conte bis, ma non ci era riuscito tanto da subire il governo Draghi, nel qual e non è riuscito a entrare per la decisione del Presidente del Consiglio di tenere fuori i segretari dei partiti, ed a dimettersi subito dopo da segretario attaccando a testa basso il suo stesso partito.

Il Presidente da tempo non ha più la testa sulla Regione e tra i suoi non c’è lo stesso clima di una volta tanto che da un po' se le danno di santa ragione. Da segretario del Pd aveva delegato la gestione ai suoi più stretti collaboratori, che sono entrati in rotta di collisione con la parte politica della giunta. Solo per fare un esempio, il segretario generale della Regione è stato mandato via dal Pd che, in Consiglio, ha fatto approvare una norma di legge che gli toglieva la funzione.

E’ di dominio pubblico lo scontro all’interno della giunta tra l’ala del Pd della Provincia e quello di Roma. Oggi nel M5S nessuno, al di là dei galloni che si appunta, è in grado di decidere, perché non c’è un capo, come la sentenza del tribunale di Cagliari ha messo in evidenza, e nessuno è in grado di togliere dal tavolo la candidatura della Raggi o di depotenziarla.

Non solo nel m5s ma anche tra i dem di Roma e del Lazio ci sono malumori, perché la candidatura di Zingaretti al Campidoglio comporterebbe lo scambio con la candidatura a presidente della Regione ai 5 stelle, mentre da tempo gli esponenti di punta della giunta sono in gara per candidarsi.

Proprio le dimissioni dell’onorevole Mancini, esponente romano e braccio destro di Gualtieri, da tesoriere del Pd di Roma, sono un segnale dei malumori di parte del gruppo dirigente nei confronti dell’ex segretario del Pd.

Zingaretti si è convinto anche che l’opzione di candidarsi senza dimettersi era molto complessa e che difficilmente avrebbe potuto eludere la norma che prevede l’election day. Differentemente da come aveva dichiarato l’ex ministro degli affari regionali, Francesco Boccia, che “la legge non chiede a un Sindaco quando si candida a Presidente di Regione di dimettersi, così come non lo chiede a un Presidente di Regione”, la legge regionale del Lazio, la 2 del 2005, prevede che il sindaco di Roma, così come i sindaci dei comuni capoluogo, e i Presidenti di Provincia, sono ineleggibili a Presidente della Regione Lazio. Quindi la Raggi, per esempio, non si sarebbe potuta candidare a Presidente della Regione nel 2018. Zingaretti per potersi candidare alle elezioni regionali del Febbraio del 2013 dovette dimettersi nel 2012 da presidente della Provincia.

Il nodo delle leggi sull'eleggibilità
La legge regionale non prevede però la reciprocità della ineleggibilità a Sindaco del Presidente della Regione, competenza dello Stato, e ciò comporta un buco nella normativa del Tuel, ma questo avrebbe potuto dare vita a un contenzioso senza fine. Come è successo nel caso della norma statale che prevede la ineleggibilità a Parlamentare dei Sindaci dei Comuni al di sopra dei comuni con 20 mila abitanti, ma non prevede la reciprocità, cioè la ineleggibilità del Parlamentare a Sindaco di un comune con più di 20 mila abitanti.

L'ineleggibilità di fatto
Situazione che ha portato ad una serie di ricorsi e controversie che hanno portato la Corte Costituzionale ad intervenire. Ma la di là delle norme c’è una ineleggibilità di fatto, perché la Regione approva leggi e norme che hanno effetti concreti sulla Capitale e molti finanziamenti dei servizi dipendono dalla Pisana. Pensiamo solo al trasporto pubblico, all’urbanistica, al commercio o ai servizi sociali. Pensiamo alle nuove norme approvate dalla Regione su Ptpr o al nuovo piano rifiuti che sta impattando sulle politiche della Raggi.

E infine Zingaretti difficilmente avrebbe potuto eludere la norma sull’election day che prevede che si tengano lo stesso giorno le elezioni previste per lo stesso anno. Dunque alla fine Zingaretti bloccato dai 5 stelle butta la spugna ed arriva Gualtieri.

Adesso si apre una partita non facile per il Pd, perché avrà di fronte una Raggi agguerrita, forte del sostegno del suo movimento e soprattutto forte di questa prima vittoria nell’essere riuscita a bloccare la candidatura di Zingaretti. Ne esce rinforzato anche Calenda che, con il sostegno di Italia viva di Renzi, di più Europa ed altri movimenti civici, potrà fare appello ai tanti elettori del partito democratico o della sinistra delusi per come sono andate le cose e, immagino, anche a quel pezzo di elettorato moderato e liberale del centro destra che si sente orfano di Berlusconi.

Se Raggi va al ballottaggio il Pd deve votarla
Insomma una partita complessa con il rischio che possa andare al ballottaggio la Raggi e con il Pd obbligata a votarla. Per alcuni è un incubo, ma qualche volta, come i sogni, possono avverarsi. Il centro destra ha un vantaggio oggettivo ma sino ad ora ha cincischiato troppo e dimostrato di non voler prendere troppo sul serio questa partita. Ma ora che il Pd ha scelto non ha più scuse, questa è una partita che può perdere solo il cdx.

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