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Cronache
Smart working e diritto alla disconnessione: sopravvivere al "sempre online"

Smart working tra vantaggi e svantaggi. Il diritto alla disconnessione a chi è garantito? Limitato ai lavoratori dipendenti in modalità agile

"Smart working" è divenuto, in tempo di pandemia, un termine noto a tutti i lavoratori, anche in Italia. Ne parliamo con l’avvocato Nicola Ferraro, founder partner di de Tilla studio legale (con sedi a Milano, Roma e Napoli), e socio fondatore di Anai – Associazione Nazionale Avvocati Italiani.

Avvocato Ferraro, che dimensione ha il fenomeno dello smart working?

I risultati della ricerca condotta dall’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano in una recente pubblicazione ha sottolineato che nel 2019 lo smart working riguardava circa 570.000 lavoratori. In tempo di pandemia da Covid-19 il numero dei lavoratori che hanno svolto la propria attività da remoto è balzato a 6,58 milioni, circa 1/3 dei lavoratori dipendenti. Si stima che al termine della pandemia saranno circa 5,3 milioni i lavoratori agili.

Da una parte, il ricorso alle tecnologie moderne di connessione ha consentito, in molti ambienti lavorativi, la prosecuzione delle attività “da remoto”. La presenza di smartphone, tablet, pc (spesso forniti dalle stesse imprese) ha reso continue le comunicazioni e imposto dei tempi di risposta istantanei ai quesiti e alle tematiche poste dal datore di lavoro (sia esso manager privato o pubblico). Dall’altra ha, però, sollevato interrogativi seri sul diritto alla disconnessione. Ossia il diritto che il lavoratore, non imprenditore, ha di non essere reperibile fuori dal normale orario di lavoro. Esso comprende non solo il diritto di “scollegarsi”, una volta fuori dall’orario di lavoro ma anche quello di non essere “richiamati” ove ciò accada oppure premiati per avere tenuto un comportamento diverso (a differenza dei colleghi).

La disconnessione è un diritto riconosciuto dalla legislazione italiana?

Le restrizioni causate dalla diffusione del Coronavirus hanno reso la digitalizzazione e l’uso della tecnologia capillari. Ciò ha spinto molte imprese ad adottare modelli di smart working e ad accrescere la loro flessibilità sulle modalità di lavoro. Nel contempo, si è imposta la cultura della reperibilità continua, accentuando le problematiche a essa connesse e posto in maniera ancor più attuale l’esigenza di tutela del lavoratore dinanzi ai rischi di abusi, iniquità e problematiche psico-sociali che la connessione costante porta con sé.

La questione è molto sentita, maggiormente adesso in tempo di pandemia da Covid. Ma il legislatore italiano si è mosso per tempo, ancorché in maniera parziale. Già con la Legge n. 81/2017 è stato riconosciuto il diritto del lavoratore dipendente alla disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro.

La suddetta legge ha posto l’accento:
•    sulla flessibilità organizzativa,
•    sulla volontarietà delle parti che sottoscrivono l’accordo individuale,
•    sull’utilizzo di strumentazioni che consentono di lavorare da remoto
•    sul diritto a disconnettersi.

Quali sono i punti chiave della normativa sul lavoro?

Talvolta sia i datori di lavoro che i lavoratori trascurano il rispetto della normativa sul lavoro in merito alle ore massime lavorative e all’orario di riposo minimo da garantire. Sinteticamente tale normativa prevede:
•    48 ore lavorative al massimo, a settimana;
•    11 ore consecutive di riposo minimo, al giorno;
•    4 settimane di ferie retribuite minimo, all’anno.

Il diritto alla disconnessione è riconosciuto a tutti i dipendenti?

Se l’intento del legislatore è stato quello di tutelare il lavoratore contro i rischi derivanti da una reperibilità costante con l’impresa e un controllo continuativo del proprio datore di lavoro, va precisato che il diritto alla disconnessione è stato limitato solamente ai lavoratori dipendenti che abbiano avuto accesso al regime di lavoro agile.

(segue)

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