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Cronache
Stop alle differenze regionali e ai test d'ingresso: come salvare la sanità
Medici in corsia

Stop alle differenze regionali e ai test d'ingresso: come salvare la sanità in Italia. La proposta di Affari 

Quante volte abbiamo sentito parlare di differenze tra Nord e Sud? Il problema è atavico sul piano del Pil, della questione industriale e delle infrastrutture. Questi tre fattori incidono, non poco, anche sul piano sanitario e il famoso fondo di perequazione fa fatica a limare o evitare l’accentuazione delle differenze tra sistemi sanitari settentrionali e meridionali. I dati sono sotto gli occhi di tutti: il “Nord batte il Mezzogiorno sei a zero”; così titolava il Quotidiano di Sicilia lo scorso 8 novembre 2023.

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A questa notizia, non scontata ma neanche insaputa rispetto al problema pluridecennale, fa da base il rapporto Agenas (Agenzia Nazionale per i servizi sanitari regionali) del 2023 con cui si evidenzia come la differenza sanitaria tra Nord e Sud, sia in termini di servizi offerti che di percezione qualitativa dei cittadini, non stenta a colmarsi. Allora bisogna individuare la radice del problema non limitandosi ad “operare” politicamente e normativamente solo sugli aspetti ordinari: cioè impieghi, destinazione fondi, ecc.

La radice del problema è il Titolo V per come cambiato dalla famosa legge costituzionale n. 3/2001 (peraltro confermata al referendum dai cittadini italiani) che assegna alle Regioni la competenza legislativa concorrente in materia di tutela della salute. Concorrenza di potestà legislativa che, però, va letta con una cesura: lo Stato centrale, nelle materie di doppia competenza, ha solo il potere di determinare i principi fondamentali che le Regioni dovranno seguire nella normazione da loro gestita.

Insomma, si potrebbe dire che lo Stato centrale ha quasi le mani legate. E un esempio di tutto ciò lo ha rappresentato la pandemia da Covid, quando con la decretazione d’urgenza è stata vitalizzato a dismisura il vagonismo deliberativo da DPCM: segno tangibile che per gestire e bypassare l’ostacolo costituzionale dell’art. 117 Cost. si è dovuto porre rimedio a quanto sopra passando dal piano legislativo al piano amministrativo e meramente regolamentare.

A ben vedere, d’altronde, quell’art. 117 sulle competenze legislative tra Stato e Regioni non si concilia benissimo con l’art. 32 della Carta fondamentale italiana (se le differenze tra Nord e Sud sono così forti e senza soluzione di continuità). Eppure “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. Allora la politica e noi tutti come cittadini abbiamo un compito “costituzionale” ormai indifferibile: cambiare marcia sulla questione sanitaria.

Ce lo impone l’art. 3 della Costituzione stessa: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. La Repubblica non è solo lo Stato nel senso apparato, ma è nella sua portata globale composta da cittadini, funzionari, dirigenti, politici, ecc. Il Paese, quindi, deve trovare la forza di dire basta a vent’anni e più di regionalismo sfrenato in materia.

Quest’opera può iniziare dalle fondamenta, dalle ragioni di principio: riforma costituzionale dell’art. 117 e divieto di test d’ingresso a medicina e per gli altri percorsi universitari e professionalizzanti in ambito accademico nella misura in cui va avanti chi merita durante la formazione e non prima. Il dibattito nazionale può partire da qui, ma non basta. Occorre che i seicento parlamentari in carica vogliano davvero farla finita nell’inseguimento del federalismo competitivo tra regioni (ed enti locali).

Il decentramento e il principio di sussidiarietà, nella combinazione diabolica tra art. 5 e art. 117 Cost., non possono, implicitamente, ampliare la legittimazione dei viaggi della speranza, delle baronie di posizione e della esaltazione sfrenata delle autonomie differenziate. Davanti al sacro dovere di garantire un servizio sanitario omogeneo su tutto il territorio nazionale, ci si ricordi che oltre alla parità di trattamento tra cittadini del Nord e del Sud deve valere contestualmente l’equità nelle prestazioni. E questi principi, se rimangono traditi, condurranno la Repubblica verso un nuovo feudalesimo.

 

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