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Suicidio assistito: la Corte ribadisce i requisiti e chiede un intervento immediato del legislatore
La Corte sottolinea la necessità di garantire un accesso equo alle cure palliative e il diritto all'autodeterminazione, chiedendo al legislatore di adottare misure per prevenire abusi e garantire adeguati supporti sociali

Corte Costituzionale sulla non punibilità dell’aiuto al suicidio: un margine di discrezionalità per il legislatore e l’urgenza di garantire cure palliative universali
La Corte ha ribadito quanto già stabilito nella sentenza numero 135 del 2024, pubblicata successivamente all'ordinanza di rimessione: il requisito secondo cui il paziente debba dipendere da un trattamento di sostegno vitale risulta presente già nel momento in cui vi sia una indicazione medica che attesti la necessità di tale trattamento per garantire il mantenimento delle sue funzioni vitali. In concreto, ogni volta che si possa prevedere che l’interruzione o l’omissione del trattamento comporterebbe il decesso in un arco di tempo breve, e siano rispettati tutti gli ulteriori requisiti sostanziali e procedurali previsti dalla sentenza n. 242 del 2019.
Non è, dunque, indispensabile che il paziente intraprenda il trattamento unicamente al fine di poter accedere in seguito al suicidio medicalmente assistito. In mancanza di tale condizione, la Corte – richiamando la sentenza n. 135 del 2024 – ha ritenuto non essere imparziale il limitare a questi pazienti l’accesso al suicidio assistito, e che tale restrizione non lede il diritto del paziente all’autodeterminazione.
Anche se, in linea teorica, il legislatore possa adottare soluzioni differenti, qualora vi siano adeguate garanzie contro i rischi di abuso e di abbandono del paziente, gli va comunque riconosciuto un «significativo margine di discrezionalità […] nel bilanciamento tra il dovere di tutela della vita umana, discendente dall'art. 2 Cost., e il principio dell'autonomia del paziente nelle decisioni che coinvolgono il proprio corpo, e che è a sua volta un aspetto del più generale diritto al libero sviluppo della propria persona».
La Corte ha, inoltre, evidenziato l'importanza fondamentale dei requisiti e delle condizioni procedurali previsti ai fini della non punibilità dell’aiuto al suicidio, poiché necessari sia a prevenire il rischio di abusi ai danni di soggetti fragili e vulnerabili, sia a «contrastare derive sociali o culturali che inducano le persone malate a scelte suicide, quando invece ben potrebbero trovare ragioni per continuare a vivere, ove fossero adeguatamente sostenute dalle rispettive reti familiari e sociali, oltre che dalle istituzioni pubbliche nel loro complesso».
La Corte ha inoltre ribadito che rientra tra i doveri fondamentali della Repubblica quello di garantire «adeguate forme di sostegno sociale, di assistenza sanitaria e sociosanitaria domiciliare continuativa, perché la presenza o meno di queste forme di assistenza condiziona le scelte della persona malata e può costituire lo spartiacque tra la scelta di vita e la richiesta di morte».
A riguardo, non ha nascosto la sua grande preoccupazione per il fatto che, ancora oggi, in Italia non sia garantito un accesso universale ed equo alle cure palliative, sia a livello domiciliare che ospedaliero. Dalle lunghe liste d'attesa alla mancanza di personale adeguatamente preparato fino alla distribuzione disomogenea dell'offerta di cure sul territorio.
Infine, la sentenza ha «ribadito con forza l'auspicio […] che il legislatore e il Servizio sanitario nazionale intervengano prontamente ad assicurare concreta e puntuale attuazione a quanto stabilito dalla sentenza n. 242 del 2019, ferma restando la possibilità per il legislatore di dettare una diversa disciplina nel rispetto delle esigenze richiamate ancora una volta dalla presente pronuncia».