A volte basta un’immagine per sintetizzare la letteratura sterminata contro il razzismo. L’immagine, scattata a Londra, è quella dell’uomo nero che trasporta in spalla un manifestante bianco sottraendolo alla violenza durante uno scontro razziale. Li c’è tutto. Un uomo debole sorretto da un uomo forte, non è importante il colore del debole e del forte, i colori si mescolano, i ruoli si invertono. Il messaggio è qui: solo grazie al sostegno reciproco si fonda una collettività. Quella foto rappresenta cosa non è il razzismo. Tutto il resto non conta, sono chiacchiere. Abbiamo tutti due gambe, una testa e un destino che ci ha fatto nascere in un certo luogo, tutti abbiamo però il diritto a un futuro. Chi è meno fortunato deve potersi comunque giocare le sue carte e il gap deve colmarlo la politica. Purtroppo in giro per il mondo abbiamo leaders a cui non interessa la convivenza sana, difficile da creare, ma da un certo punto di vista interessa il mantenimento della tensione perché è nella disperazione che le persone sono più suscettibili ad accogliere le scorciatoie, più facili ma divisive, proposte dalla politica. Leadership fondate sulle paure di qualcosa, di qualcuno. Anche nel nostro piccolo, in Italia, siamo sobillati ogni giorno da un rischio, da una paura, pensateci. La paura dell’euro, dei clandestini, del virus, della crisi, della disoccupazione. Non si salva nessuno, in questo contesto ormai la politica è l’arena degli espedienti, dei like, delle ricette facili che puntualmente non si concretizzano alimentando poi altre ricette ancora più strumentali, simboliche ed inutili. Mentre le interconnessioni globali dovrebbero dar luogo al massimo della cooperazione, a livello nazionale prevalgono le barriere e i messaggi fintamente rassicuranti che stanno solo esacerbando gli animi rendendoci tutti più poveri e più stupidi e, spesso, più razzisti.
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