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Culture
Elisabetta Sgarbi: 'Il mio film? Racconta la messa in discussione della propria identità"

Elisabetta Sgarbi, regista e scrittrice, ancora una volta sorprende gli spettatori con un film potente che racconta del desiderio di libertà dei suoi protagonisti. Sullo sfondo la guerra, i postumi, la memoria, una radice feroce indelebile.

“I nomi del Signor Sulčič”, una storia che racconta, tra fiction e realtà, la peggiore disperazione umana: la perdita d’identità. Lo smarrimento che ne deriva. Potrebbe toccare, da vicino, ognuno.
Il film racconta la messa in discussione della propria identità, a partire da un caso limite, certamente: un uomo e una donna che scoprono la verità sui propri genitori e sulla propria origine. Ma lo sguardo può essere allargato: si parla spesso di identità, ma in fondo ogni nostra identità é molto incerta. Potremmo svegliarci domani e scoprire che siamo altro. Come nel film: una donna slovena precipita nella vita di un uomo che non conosce, che vive una vita che lui ritiene “certa”, al riparo dal mondo e in un posto remoto del mondo come l’estremo Delta del Po.

“Portami via la memoria e non sarò mai vecchio”. Un verso misterioso ed enigmatico, potrebbe essere il manifesto del tuo ultimo film. Da dove arriva la fusione tra la parola poetica e le storie post belliche?
Il verso é tratto da una bellissima poesia di un poeta dialettale Ferrarese, Alfonso Ferraguti. E lo citava sempre mio padre. É una straordinaria intuizione poetica che ho voluto che il personaggio principale, investito dalla Storia e dalla verità sulle sue origini, facesse propria: di fronte a un passato pesante si può voltare le spalle, aggrapparsi al presente. Non essere mai vecchio vuol dire non perdere aderenza al presente, vuol dire a volte essere capaci di un gesto liberatorio, di uno strappo con il passato.

Nel film c’è una perfetta sintonia tra le parole, precise della sceneggiatura, e il silenzio che corre sullo schermo, che diventa necessario, perché fa riflettere…
Il lavoro fatto con Eugenio Lio sulla sceneggiatura é proprio sui silenzi, le sospensioni, le ellissi. E su un diffuso senso onirico che si respira nel film: in fondo tutto il film potrebbe essere un sogno.

La fiction e la realtà, quanto dell’una e quanto dell’altra per il plot narrativo?
Il soggetto é frutto di fantasia, o forse di un sogno, come dice la didascalia finale, quindi, tutto é finzione, anche gli elementi di verità sono trasformati in funzione narrativa, esattamente come nei sogni.

i nomi del signor sulcic
 

Di solito i frequentatori della "pagina” cinematografica hanno strumenti per riconoscere la finzione, quanto questa possa prevaricare una storia autentica. Fiction e verità. La realtà è sempre presente nella buona poesia, e nei film che durano nel tempo lo è. Sembra che tu prediliga la seconda, penso a “Notte senza fine", “La notte che si sposta”, “Belle di notte”.
Ognuno di noi vive allucinazioni, costruiamo realtà e finzioni, auto-giustificazioni e illusioni, per gestire la realtà, spesso troppo dura. Nei miei film, qualsiasi cosa riguardino, l’arte o la fiction, mi sembra che rimanga una allucinazione, un abbaglio che guida la storia o il documentario.

Ne “Il pianto della Statua”, film tra l’altro a me molto caro, affronti partendo dalle sculture, dalle immagini statiche, la possibilità di rendere dinamici corpi che lo sono nella loro immobilità, ma - come mostri nel tuo lavoro - non è facile. Il tuo cinema è pittura, movimento ma anche letteratura, che cosa puoi dirmi a proposito?
I tre film sulla scultura sacra, sui Compianti in terracotta, sul Sacro Monte di Varallo, sulla Via Crucis di Beniamino Simoni sono espressione di quella allucinazione: guardando dal vivo il compianto di Nicolò dell’Arca in Santa Maria della Vita a Bologna, così come quelli di Mazzoni, si sentono le grida di disperazione dei personaggi in terracotta; si sentono perché questa é la forza di queste opere d’arte. E se, di fronte ad esse, lo spettatore non “sente” le grida, allora non sta guardando nel modo giusto. I miei tre film sulla scultura sacra, come anche quello sulla Pala di Isenheim di Colmar di Gruenewald, sono il prolungamento della  percezione allucinatoria, la amplificano ulteriormente.

 

La genesi del film, la sceneggiatura, gli attori numerosi e bravissimi. Quanta attenzione e quanta cura?
Una gestazione lunghissima, coltivata in segreto per diversi anni, senza neppure avere un produttore oltre a me stessa. Rai Cinema é entrata quando ero certa di avere una forma compiuta, e - ovviamente - ho corso il rischio che avrebbe potuto non essere di loro gradimento. Ma volevo sentirmi libera di percorrere una strada.

La storia del film che tu e Eugenio Lio raccontate evoca scenari terribili, di massacri e perdite, di esodi e identità frantumate dalla paranoia nazista. É così?
Il dolore e l’odio sono come un liquido che viaggia tra vasi comunicanti. Il mondo che racconto nel film - Trieste la Slovenia - hanno vissuto in pochi anni una catena di vendette odio dolore straordinario. Nel mio film questo si sente. Anche se si concentra sulla storia di alcuni personaggi che, di quelle vicende, sono l’eco.

Le diaspore, gli esodi, la deprivazione della libertà, le uccisioni. Il tuo film mi fa pensare nello specifico agli intellettuali armeni; il 24 aprile del 1915 vennero tagliate in Turchia le teste di molti scrittori, esibite poi su assi di legno, impilate. A guardarle nelle fotografie sembrano in esposizione su degli scaffali, non i libri di tali pensatori sulle assi che ricordano delle librerie rudimentali, ma le teste mozzate. Le guerre hanno sempre gli stessi effetti?
La grande arte del passato e del presente ha registrato con grande precisione le tragedie del secolo: Primo Levi e Dasa Drndić e Boris Pahor per i crimini nazisti; Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi per il genocidio armeno; Jean Hatzfeld per il Ruanda. L’elenco potrebbe essere molto nutrito. É importante tenere presente sempre e tornare su questi capolavori.

I nomi del Signor Sulčič"

Sceneggiatura Eugenio Lio ed Elisabetta Sgarbi.

Regia di Elisabetta Sgarbi, in tutte le sale dal 7 febbraio.

Il 9 febbraio verrà presentato in anteprima a Milano al Cinema Mexico alle ore 21,00

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