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Culture
Fuga di cervelli? Ferruccio Resta, Rettore PoliMi: "Più ricerca e innovazione"

Ricerca, innovazione e rapporto università-imprese sono le sfide del Politecnico di Milano per attrarre talenti in Italia. Ed è in arrivo una Silicon Valley italiana nella sede di Milano Bovisa. L’intervista al Rettore Ferruccio Resta

Di Maria Carla Rota

Sono sempre più numerosi gli italiani che scelgono l’estero, soprattutto giovani: nel 2016 se ne sono andati in 48.600, se si considera la fascia di età tra i 18 e i 34 anni. Un vero e proprio “boom”, secondo il recente Rapporto della Fondazione Migrantes della Cei. Affaritaliani.it ne ha parlato con Ferruccio Resta, Rettore del Politecnico di Milano

Come valuta questo allarme sulla cosiddetta “fuga di cervelli”?

"Innanzitutto bisogna considerare anche quanti stranieri vengono in Italia.  Oggi al Politecnico il numero di persone che trovano lavoro all’estero è identico a quello degli stranieri che, laureatisi qui da noi, trovano impiego in Italia. Siamo quasi in equilibrio. Il problema, comunque, va visto da una prospettiva diversa: non bisogna pensare a misure dedicate ad arginare la fuga, quanto a soluzioni che possano rendere il nostro territorio attrattivo per figure di alta professionalità. Questo è un tema non solo di accademia, ma anche di mercato del lavoro. Se poi gli studenti trovano un impiego all’estero, è comunque un buon segno: oggi le nuove generazioni si muovono con facilità, c’è maggiore mobilità. L’importante è non essere costretti ad andarsene perché qui non si trova un posto”.

Polimi Ferruccio Resta ape
 

Formazione, ricerca, risorse umane: lei ha puntato subito su questi temi, a partire dalla sua elezione un anno fa.

"L'attrattività del territorio è la nostra vera missione, ovvero poter inserire il Politecnico tra le destinazioni di chi sceglie dove andare a studiare e fare ricerca. Se riusciamo ad essere attrattivi, possiamo portare qui un maggior numero di talenti. Questo dipende da molti fattori: una buona offerta formativa, innovativa e di livello, ma anche spazi adeguati, laboratori sperimentali e naturalmente la possibilità di inserimento nel mondo del lavoro, prestando molta attenzione alle attività di placement. Le imprese per noi sono fondamentali, sia come partner di ricerca sia come elemento di attrattività a livello occupazionale”.

Quali sono le principali collaborazioni del Politecnico con le aziende?

“Le imprese sono vitali per il nostro vivere quotidiano, sia per i rapporti diretti, sia per le partnership finalizzate ad ottenere i finanziamenti pubblici in Europa. Complessivamente rappresentano oltre il 25% del nostro bilancio. Per quanto riguarda la ricerca, i dipartimenti hanno la massima libertà nel rispondere alle esigenze disciplinari legate al singolo problema presentato dall’azienda, che può essere chimico, meccanico o informatico, per fare qualche esempio. Ci sono però due sfide importanti che vanno oltre questa attività e sulle quali stiamo puntando l’attenzione. Innanzitutto c’è bisogno di guardare al medio termine attraverso tavoli multidisciplinari in grado di affrontare problemi complessi e fare ricerche di scenario. Per questo abbiamo accordi con gruppi di ricerca che in Italia hanno centri di occupazione importanti: Eni, Enel, Pirelli, Leonardo-Finmeccanica, Maire Tecnimont, solo per citarne alcuni. Vogliamo poi disegnare insieme politiche di innovazione che non si fermino alla fase di ricerca, ma che si avvicinino a quella pre-industriale, più legata al prodotto e alla nascita di brevetti e startup. Stiamo puntando molto su questo aspetto e faremo ancora di più". 

Come vede la questione dei finanziamenti alla ricerca in Italia?

“Sempre molto debole. Oltre ad essere sotto finanziato e spesso rallentato dalla burocrazia, il finanziamento pubblico in Italia è eccessivamente frastagliato. Ci sono delle opportunità che passano attraverso i bandi, ma non sempre seguono logiche di medio termine favorevoli allo sviluppo della ricerca. I finanziamenti in Europa sono una buona occasione, ma la competizione è molto forte e servirebbero non solo competenze, ma anche asset adeguati, come i laboratori sperimentali. Inoltre anche in questo caso il supporto pubblico manca: si potrebbe pensare a forme di co-finanziamento che premino e rafforzino la partecipazione a progetti europei. Invece questo oggi lo dobbiamo cercare da soli”.

Quanto conta per uno studente la possibilità di conoscere dal vivo l’importanza dei rapporti università-imprese?

“Avere numerosi rapporti con le imprese offre la possibilità agli studenti più vicini alla laurea di essere inseriti in queste collaborazioni, con grossi benefici da parte di tutti. Lo studente vede che cosa vuol dire fare ricerca e innovazione per il mondo industriale e si costruisce un bagaglio professionale. L’impresa, a sua volta, ha la possibilità di entrare in contatto con persone parzialmente formate e quindi più preparate ad un’eventuale assunzione. Inoltre, nel caso di progetti di ricerca pubblici portati avanti dall’ateneo insieme a un gruppo di imprese gli studenti possono anche apprezzare come si gestisce un tavolo numeroso”.

Se dovesse fare un confronto con l’Europa, che giudizio darebbe all’Italia?

“Il Politecnico di Milano fa parte di IDEA League, un’alleanza tra 5 delle migliori università tecniche europee: oltre a noi, ci sono l’Olanda con Delft University of Technology, la Svizzera con ETH Zürich, la Germania con RWTH Aachen University e la Svezia con Chalmers University of Technology. È un tavolo di confronto che permette di misurarci con l’estero. Fatte salve le differenze tra i vari Paesi, a livello di dimensioni, popolazione ed economia, il Politecnico, per qualità della formazione e didattica innovativa, non teme alcun confronto, così come per il rapporto con le imprese. La differenza principale riguarda invece l’investimento nel dottorato di ricerca, che in Europa è considerato come strumento per fare sì ricerca universitaria, ma anche innovazione industriale. Non è solo il primo gradino della carriera accademica, come è visto da noi, ma anche il primo passo della carriera di ricerca industriale. Su questo aspetto gli altri investono tantissimo, anche 5 volte più di noi”.

Un atteggiamento che si ricollega al tema della fuga di cervelli.

“Investire sul dottorato di ricerca vuol dire formare una manodopera fortemente spinta all’innovazione che, se recepita dall’industria, può favorire la decisione di restare in Italia da parte dei singoli e potenziare la capacità di innovare da parte delle imprese. È un circolo virtuoso che ha da un lato l’innovazione e dall’altra il capitale umano. L’altra notevole differenza riguarda i finanziamenti pubblici, non solo di un ordine di grandezza superiore rispetto ai nostri, ma anche diversamente distribuiti, più selettivi. All’estero puntano su alcune università in particolare, mentre da noi sono il risultato di un meccanismo a pioggia”.

Oltre a valorizzare i dottorati di ricerca, come motore di innovazione, ci sono altri progetti imminenti?

“Vorremmo potenziare la nostra sede di Bovisa, accanto a quella storica di Città Studi, creando un distretto dell’innovazione che raccolga le nostre startup, alcuni dei laboratori più vicini al mondo imprese, Polyfactory, ovvero il nostro laboratorio di design, e il Competence Center del Ministero dello Sviluppo Economico. Spesso ci lamentiamo di non avere la nostra Silicon Valley, un grande bacino localizzato, ma sta a noi il coraggio di concentrare tutto in un’area invece di distribuire sul territorio. Nel mondo dell’innovazione la vicinanza è un moltiplicatore di opportunità, non una sommatoria”.

 

 

 

 

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