Culture
Il mio nome è Josef Ajram
Prima di riprendere vorrei fornire un chiarimento. Io non sono un ex broker che un bel giorno ha subito un tracollo, ha deciso di ricominciare da zero, lasciando la Borsa e dedicandosi alla bicicletta. No, questo non sono io.
Quel che ho deciso un bel giorno è che potevo essere un broker stimato e mostrarmi per quel che sono: una persona che ama le sfide, uno che porta la filosofia del carpe diem all'estremo. Uno che si prefigge di scoprire dove stia il proprio limite.
Sì, mi chiamo Josef Ajram Tarés, un nome forse poco comune. Mio padre è nato in Siria e appartiene a una famiglia della classe media del ceppo cristiano del paese. Quando compì 18 anni, il Governo del suo paese prese una misura straordinaria: concedere visti ad alcuni giovani per permettere loro di andare a studiare all'estero. Mio padre si ritrovò tra i prescelti e decise di venire a Barcellona. Prima si fermò per un po' a Madrid, poi si trasferì a Barcellona, quasi per caso.
Mio padre era una studente molto diligente, e imparò rapidamente la lingua, cominciando così gli studi di Medicina. All'università conobbe mia madre e si sposarono. Ho sempre molto elogiato il coraggio di mia madre, ancor più conoscendo il carattere dei miei nonni. Trentacinque anni fa, probabilmente non era ben accetto che una donna catalana sposasse un siriano. L'atteggiamento dei miei genitori, in generale, e di mia madre in particolare, è stato per me un punto di riferimento nella vita: tutt'e due erano molto battaglieri, lui per aver avuto il coraggio di lasciare la sua famiglia e di emigrare in un altro paese, e mia madre per aver seguito il proprio istinto.
I miei rapporti con la parte della famiglia che vive in Siria sono, logicamente, alla lontana ma buoni. Ogni volta che ci troviamo, è una scommessa. I mei nonni paterni sono due persone affettuose, veramente due brave persone. Gente stupenda, come i miei zii. Abbiamo molti parenti in Siria: sono una grande famiglia.
Prima ci andavamo tutti gli anni, ma poi, mano a mano che io e mio fratello Jacinto crescevamo, le visite si sono di radate perché quando si cresce si preferisce vedere il mondo. Un altro angolo di mondo, intendo. In ogni caso credo che mio padre non abbia gestito bene due cose rispetto al proprio paese. Una è stata non insegnarci la lingua da piccoli, cosa che naturalmente ci limitava molto al momento di entrare in contatto con i ragazzi della nostra età e anche con i nostri parenti, quando andavamo a trovarli.
La seconda è stata una specie di «scorpacciata» di Siria. Infatti ci andavamo tutte le estati, sempre e per troppo tempo. Per noi era «andare in villeggiatura al paese», ma se questa «località di villeggiatura», si trova a quattromila chilometri da Barcellona e, oltretutto, non parli la lingua del posto, è inevitabile che dopo dieci anni ti diventi antipatica. È un dato di fatto.
«L'atteggiamento dei miei genitori, in generale, e di mia madre in particolare, è stato per me un punto di riferimento nella vita.»
Comunque, c'è senza dubbio un aspetto positivo: abbiamo avuto la fortuna di vivere due culture completamente diverse in un paese che è una vera e propria polveriera, dato che confina con l'Iraq, il Libano, la Giordania, la Turchia e Israele; ciò significa che, malgrado le difficoltà con la lingua, ho avuto il privilegio di conoscere a fondo la Siria. Inoltre, con gli anni, qualche parola la mastichi e ho così avuto l'opportunità di visitare città e paesi della Siria e della Giordania. Ritengo sia una cosa che arricchisce molto su un piano personale e culturale.
(continua in libreria...)