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Culture
La Tomba del Tuffatore, l'immagine invisibile. Cinquant'anni fa la scoperta.

Esattamente cinquant’anni fa, all’interno di una piccola necropoli di VI-IV secolo a.C., a due chilometri a sud di Paestum, veniva portata alla luce la Tomba del Tuffatore (480/470 a.C.), unica testimonianza della pittura greca a grandi dimensioni, non vascolare. Per l’occasione, il Parco Archeologico di Paestum promuove una mostra (dal 3 giugno al 7 ottobre) che inserisce la tomba più famosa della Magna Grecia in un percorso fatto di materiali archeologici e opere moderne, da Guido Reni a Giorgio De Chirico. Circa 50 opere, provenienti da musei nazionali e stranieri,  costruiscono il percorso espositivo.  Dalle scoperte più clamorose sul tema dei culti misterici antichi in Magna Grecia, alle visioni edonistiche settecentesche del mondo di Bacco;  dalle danzatrici caste e al tempo stesso sensuali di Canova per arrivare alle visioni novecentesche, altamente ambigue, di Corrado Cagli e De Chirico.

Unica testimonianza della pittura greca a grandi dimensioni, non vascolare, prima del IV sec. a.C., la Tomba del Tuffatore è singolare anche per il soggetto rappresentato: un giovane nudo che si tuffa nell’oceano, immagine metaforica del passaggio dalla vita alla morte. Mentre tradizionalmente i greci avevano una visione molto negativa dell’aldilà, nel V sec. a.C. si diffondono nuove idee, basate sulla speranza di una forma di sopravvivenza dopo la morte. Su questa scia, Platone definirà la morte la “liberazione dell’anima”, anticipando così credenze religiose più recenti.

L’obiettivo della mostra, curata dal direttore Gabriel Zuchtriegel, è di “spiegare perché la tomba, oggi come oggi, non si spiega”, come annuncia la guida-catalogo. Gli oggetti archeologici e le opere moderne esposte in mostra raccontano come sin dal Settecento nuovi scavi e scoperte, ma anche correnti artistiche e ideologiche, abbiano creato il presupposto per una delle controversie più accese dell’archeologia: quella sul significato dell’immagine del tuffatore, che ancora oggi è del tutto aperta.

Più che dare una risposta univoca, schierandosi con l’una o l’altra scuola di pensiero, la mostra, da un’angolazione espressamente postmoderna, cerca di spiegare le basi culturali e scientifiche di questa controversia, mettendo i visitatori nella condizione di ripercorrerla e di farsi una propria opinione.“Questa cosa -ammette Zuchtriegel- ha fatto discutere molto, anche all’interno del gruppo di lavoro, perché la mostra è la confessione materializzata che l’archeologia non è fatta solo di dati oggettivi, ma anche di prospettive e domande che nascono dal presente. E questo non va giù a tutti. Discutere fa bene, ma l’unica cosa che vorrei sottolineare è che questa mostra non c’entra nulla con accostamenti arbitrari e superficiali tra antico e moderno … non è una mostra sulla bellezza, anche se personalmente la trovo bellissima. Ma il vero tema è il senso e la verità di un’immagine di 2500 anni fa che era fatta per rimanere invisibile per sempre, una volta chiusa la tomba. Come possiamo pensare di scoprire il vero senso di un’immagine che non è fatta per noi? Credo che siamo i primi ad aver posto questa domanda in una mostra archeologica in maniera così radicale”

La mostra, che apre le porte al pubblico esattamente 50 anni dopo la scoperta avvenuta in quello stesso giorno dell’anno 1968, è stata realizzata con il cofinanziamento dello Stato e dalla Regione Campania, nell'ambito del Poc Campania 2014 - 2020.

Per l’occasione, il Parco apre al pubblico il “Giardino di Hera”, alle spalle della sala Mario Napoli (l’archeologo che portò alla luce la tomba del Tuffatore) che ospita la Tomba del Tuffatore. Grazie al contributo degli Amici di Paestum, il Giardino è stato riqualificato ed è stato realizzato anche un orto archeo-botanico con piante tipiche del territorio e un percorso didattico che metterà in evidenza il rapporto tra le piante e l’archeologia.

 

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