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Economia
Alibaba, scure Antitrust: ko in Borsa. Stretta di Pechino su Ant Group
Jack Ma, fondatore e presidente di Alibaba Group

I business del miliardario cinese Jack Ma, critico nei confronti dell'impianto regolatorio di Pechino e il sistema delle banche statalitornano sotto la lente delle autorità di mercato del Dragone, indagini che dopo un crollo di oltre il 13% giovedì hanno spinto nuovamente il titolo Alibaba, la piattaforma cinese di e-commerce, in forte rosso alla Borsa di Hong Kong (-7,98%, dopo un minimo intraday a -10%), nonostante abbia annunciato di aver alzato il programma di riacquisto di azioni proprie da 4 miliardi a 10 miliardi di dollari fino alla fine del 2022. 

Gli ispettori dell'antitrust cinese inviati la scorsa settimana al quartier generale di Hangzhou vogliono verificare se il colosso tech abbia abusato della sua posizione dominante sul mercato, mettendo in luce vecchie preoccupazioni secondo cui Alibaba spingerebbe alcuni fornitori a operare servendosi solo delle sue piattaforme.

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L'indagine, resa nota la scorsa settimana dall'autorità di regolamentazione dei mercati finanziari di Pechino, ha aumentato sul listino azionario di Hong Kong la pressione su tutti i giganti tecnologici cinesi, che hanno trascorso gran parte dell'ultimo anno a riprendersi dai tentativi dell'amministrazione Trump di impedire loro di accedere ai mercati e ai fornitori statunitensi. Si tratta dell'ennesima prova del cambiamento globale nella regolamentazione dei colossi tech un tempo acclamati come i portabandiera dell'ascesa economica e tecnologica della Cina e che ora invece devono affrontare un pressing crescente da parte delle authority preoccupate dalla velocità con cui stanno accumulando centinaia di milioni di utenti e guadagnando influenza su quasi ogni aspetto della vita quotidiana. 

Sul fronte Alibaba, secondo i competitor dell'azienda e alcuni venditori, l'Amazon cinese avrebbe punito alcuni marchi che vendono merci sulla sua piattaforma e sulle sue piattaforme rivali. Tra le misure di ritorsione, l'azienda avrebbe impedito loro di accedere a promozioni ad alto traffico sui servizi di Alibaba o spostare i loro elenchi più in basso nei risultati di ricerca.

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Il colosso fondato da Jack Ma nel 1999 nella città cinese di Hangzhou ha fatto sapere che collaborerà con le autorità e non ha fornito commenti sulle accuse. Alibaba, che nell'anno fiscale concluso al 31 marzo ha dichiarato un fatturato di 71 miliardi di dollari, ricava la maggior parte delle sue entrate vendendo pubblicità, addebitando commissioni e fornendo servizi ai rivenditori che vendono prodotti sui suoi siti. Come Amazon.com, è cresciuta anche nei servizi di cloud computing, intrattenimento e logistica.

In passato, a finire nel mirino antitrust della Cina erano principalmente società straniere, come il produttore americano di chip Qualcomm, che nel 2015 ha accettato di pagare una sanzione di quasi un miliardo di dollari. L'anno successivo, Pechino aveva comminato una multa di quasi 100 milioni di dollari al gigante svizzero-svedese degli imballaggi Tetra Pak International. Ora, con gli operatori internet locali come Alibaba e Tencent Holdings tra le società più grandi e influenti del paese, le autorità di regolamentazione stanno spostando la loro attenzione sulle pratiche commerciali di queste aziende.

"Il governo ritiene che sia giunto il momento di avere un migliore controllo della concorrenza sul mercato" nel settore della tecnologia, ha commentato Charlie Chen, analista della società di ricerca China Renaissance Securities. Parallelamente, dopo averne bloccato in Zona Cesarini la quotazione miliardaria (da 37 miliardi) alla Borsa di Hing Kong, le autorità di regolamentazione finanziaria della Cina hanno chiesto ad Ant Group, il gigante fintech affiliato di Alibaba e controllato sempre da Ma, di rifocalizzarsi sulle proprie attività di pagamento principali e correggere i problemi in aree in rapida crescita, quali i prestiti personali, le assicurazioni e la gestione patrimoniale.

L'ordine, emesso ieri dalla Banca centrale della Cina (Pboc), rappresenta l'ultima mossa di Pechino per tenere a freno le più grandi società tecnologiche del paese e fa pensare che la società di pagamenti riscontrerà delle difficoltà a penetrare in aree redditizie cui aveva puntato in precedenza per far crescere il suo business. Le autorità l'hanno anche criticata per la sua condotta nei confronti dei competitor e dei consumatori, accusando l'azienda di aver "disprezzato" il rispetto delle norme, nonchè di avere una governance aziendale problematica.

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Il comunicato emesso dalla Banca Popolare cinese ha fatto seguito a un incontro tenutosi sabato con Ant e le autorità di regolamentazione dei mercati finanziari del Dragone. Nel corso della riunione, i regolatori hanno presentato ulteriori richieste al colosso di Ma, tra cui salvaguardare i dati personali nella sua attività di credito, migliorare la governance aziendale e agire con prudenza nelle attività di servizi finanziari.

Di fronte alle richieste, Ant ha dichiarato che si atterrà alle linee guida ed elaborerà un calendario e un piano d'azione. Negli ultimi mesi, il governo di Pechino ha introdotto una stretta anche sulle piattaforme di fintech. Con le nuove norme a settembre, Ant e altri conglomerati sono tenuti a costituire società di partecipazione finanziaria, una mossa che le ha costrette di fatto a raccogliere un capitale sostanziale per sostenere le attività finanziarie di loro proprietà in settori quali pagamenti e prestiti.

Oltre alla diffidenza crescente del partito comunista nei confronti dello strapotere dei giganti tecnologiciMa, l'uomo più ricco della Cina, era finito nel mirino di Pechino a inizio novembre per aver detto in un discorso di alto profilo a Shanghai che le banche statali del Paese avevano una mentalità conservatrice da "banco dei pegni", bloccando il flusso di credito alle aziende più piccole e agli individui. Una serie di commenti giudicati "inopportuni" perchè fatti di fronte ad alti funzionari di regolamentazione, quando anche il vicepresidente Wang Qishan aveva sottolineato la necessità di proteggersi dai rischi finanziari.

Secondo fonti citate da Bloomberg, a Ma sarebbe stato chiesto a inizio mese di non lasciare la Cina, malgrado non sia vicino alla caduta in disgrazia. Il rimprovero pubblico contro di lui è stato un chiaro avvertimento che Pechino ha perso la pazienza con la crescente influenza sociale dei suoi magnati tech, percepiti sempre più come minaccia alla stabilità finanziaria e agli assetti di potere, particolarmente a cuore del presidente del Dragone Xi Jinping

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