"Ue in ritardo sulle batterie, è la Cina che detta i tempi. E i dazi di Trump non dureranno a lungo: ecco perché"  - Affaritaliani.it

Economia

"Ue in ritardo sulle batterie, è la Cina che detta i tempi. E i dazi di Trump non dureranno a lungo: ecco perché" 

Dal 9 all'11 aprile, aziende (Iveco, Ferrari etc.) e professionisti dell’ecosistema si riuniranno per la terza edizione dell'Alkeemia Battery Forum presso la Scuola Grande di San Rocco, a Venezia. L'intervista al Ceo Lorenzo Di Donato

di Rosa Nasti

Alkeemia, parla il ceo: "Ue ancora dipendente da Pechino per le batterie: i soldi ci sono, ma vengono investiti altrove. Fallimento Northvolt? Errore da pioniere"

Come può l’Europa sganciarsi dalla Cina, soprattutto quando si parla di batterie? Non è facile creare da zero un mercato forte, ma il punto di partenza c’è. Ora serve fare meglio degli altri. È questa la direzione di Alkeemia, leader europeo nella chimica del fluoro, che dal 9 all’11 aprile, nella storica Scuola Grande di San Rocco, a Venezia, lancia la terza edizione dell’Alkeemia Battery Forum.

Con il Forum, Alkeemia vuole mettere in rete progetti chiave e protagonisti del settore, creando un vero spazio di confronto sul futuro energetico dell’Europa. Un tema quanto mai urgente, visti gli ultimi scossoni geopolitici: dai dazi minacciati da Trump ai mercati in altalena, fino alla pesante dipendenza dalle batterie cinesi. Affaritaliani.it ne ha parlato con Lorenzo Di Donato, Ceo di Alkeemia.

Quali sono gli obiettivi principali dell’Alkeemia Battery Forum 2025 e quali strategie saranno al centro del dibattito in termini di innovazione nel mercato europeo delle batterie?

Rispetto alle edizioni precedenti, quest’anno c’è un elemento centrale che riguarda la chimica interna delle batterie. Parliamo della necessità che le batterie — sia per supportare le rinnovabili, sia per l’automotive — contengano materie prime effettivamente disponibili per la produzione. La domanda di fondo è: ci sarà uno sviluppo delle batterie nel mondo occidentale? Sì, ma quale futuro ci attende? Compreremo dalla Cina, dal Giappone o dalla Corea? O riusciremo a produrle qui? Una produzione europea esiste già, e stiamo assistendo alla nascita di diverse gigafactory. Ma la questione è: che senso ha costruire una gigafactory in Europa se poi tutte le materie prime dobbiamo importarle dalla Cina?

Ecco, l’obiettivo dell’Alkeemia Battery Forum è proprio questo: creare una contaminazione culturale tra tutti gli attori coinvolti, per favorire la diffusione di conoscenze e idee. Il taglio è principalmente tecnico, ed è questo che rende il forum davvero interessante: è un confronto tra scienziati e rappresentanti dei principali player mondiali su tutto ciò che riguarda l’innovazione nel sistema europeo. Siamo in ritardo, certo. Non inventeremo la ruota, ma possiamo prendere ciò che è già stato fatto e migliorarlo. La sfida è proprio questa: innovare rispetto allo status quo e affrontare le difficoltà di costruire oggi, da zero, una filiera in Europa, mentre vent’anni fa la Cina è potuta partire da condizioni completamente diverse. Stiamo parlando della creazione di un’industria nuova, in un contesto — quello occidentale — che non possiede le materie prime.

Che tipo di partnership strategiche si stanno delineando per rafforzare la catena del valore delle batterie in Europa?

Le partnership oggi sono principalmente di tipo commerciale: si parte dal cliente e si procede con uno sviluppo congiunto tra anelli successivi della catena di fornitura. Questo è lo schema standard. Ma non si tratta solo di collaborazioni per mettere a punto il prodotto con il proprio cliente diretto — c’è anche il cliente del cliente, e così via. Perché? Perché si lavora sull’ottimizzazione delle performance a livello microscopico: il grado di purezza richiesto è talmente elevato che ogni componente va testato innumerevoli volte.

E poi ti accorgi che cambiare tecnologia, o introdurre un nuovo fornitore in sistemi così complessi — come l’automotive o la generazione di batterie per le rinnovabili — significa affrontare un livello di complessità enorme. Serve la certezza che tutto sia testato mille volte, senza margine d’errore. E cosa succede con il cliente finale? Parliamo di aziende come Ferrari o Ducati: per loro, che in passato concentravano tutto sul motore a combustione, oggi la performance della batteria è diventata il cuore dello sviluppo. Anche perché, oggi, nel costo di un’auto, la batteria è la voce principale.

Di conseguenza, queste aziende vogliono avere il pieno controllo sia sulla tecnologia che sui costi. Alcune sviluppano internamente la tecnologia, altre fanno co-sviluppo con i battery makers, ma spesso fanno un passo in più: li acquisiscono direttamente e se li portano in casa. Perché è troppo strategico per lasciarlo fuori. Oggi il modello prevalente — soprattutto tra gli automaker europei e americani — è ancora quello di andare da LG o Panasonic e dire “sviluppiamo insieme la batteria”. Ma, secondo me, questo modello ha i giorni contati. Almeno per gli europei: prima ti affidi al partner esterno perché ne hai bisogno, ma poi... poi te lo internalizzi. Perché non puoi delegare per sempre la tua batteria a un fornitore cinese.

Cosa si sta facendo concretamente per costruire un’industria delle batterie competitiva, ma soprattutto funzionale alla transizione energetica?

L’Europa, sulla transizione, si sta muovendo “benino”. All’inizio si era mossa bene, poi però è stata travolta dagli Stati Uniti, che hanno messo sul piatto cifre mostruose per attirare tutti gli investimenti della transizione green nel loro territorio. Trump può anche parlare di riaprire i pozzi petroliferi, ma intanto nel Nord America piovono investimenti — anche grazie a Musk — su materiali e filiere strategiche che gli Stati Uniti si sono portati a casa con incentivi giganteschi. Incentivi che in Europa non potremo mai  eguagliare.

Gli americani hanno fatto un salto in avanti. Ora si stanno "flagellando" con i dazi, ma resta il fatto che la vera scommessa dell’Europa non è tanto sull’automotive, quanto sulle rinnovabili. Il Green Deal conviene alle aziende ma non perchè siamo fan di Greta Thunberg, ma dell’EBITDA. L’Europa si sta muovendo, sì, ma si muoverà ancora meglio quando riuscirà a superare la burocrazia e l’eterogeneità delle sue iniziative. Deve essere più unita su tutti i fronti. Fa bene, ma non benissimo. E soprattutto, non ha ancora avuto il coraggio di fare l’ultimo passo. Quel coraggio lo ha mostrato con la provocazione del Green Deal, dicendo che dal 2035 non si faranno più auto a combustione. Ma ora dovrebbe avere anche la forza di sostenere economicamente le aziende in questa trasformazione.

Quanto al protezionismo: non funziona nel medio-lungo termine. Detto questo, non è accettabile che uno Stato — sia la Cina o chiunque altro — usi fondi pubblici per politiche commerciali che mirano apertamente a danneggiare le economie altrui. La Cina, ad esempio, ha una strategia sempre identica: puntano sull’overcapacity. Se c’è bisogno di 100, loro producono 200. Perché vogliono arrivare a un livello di costo talmente basso che tu sei scoraggiato a produrre, e finisci per dipendere da loro. È così che funziona la loro economia industriale. Qualsiasi cosa accada, hanno incentivi e strumenti per andare in overcapacity.

Con i nuovi dazi del 20% imposti dagli Stati Uniti (e del 25% su auto e componenti europee), ci saranno ripercussioni per il mercato delle batterie? E come incideranno queste tensioni sul settore tra Ue e Usa?

A mio avviso, il settore dell’automotive e delle batterie — sia in Europa che negli Stati Uniti — è ancora troppo in fase di sviluppo perché questi dazi lo colpiscano davvero oggi. Non esiste ancora un vero mercato di scambio commerciale sulle batterie tra Ue e Usa, quindi l’impatto sarà marginale, almeno nel breve. Semmai, a essere toccati saranno altri ambiti della supply chain.

Prendiamo la grafite, ad esempio. Quella naturale non è stata colpita dai dazi di Trump, mentre quella sintetica sì, perché arriva dalla Cina. Questo dimostra che stanno facendo distinzioni mirate per rafforzare l’autonomia del blocco occidentale.

Detto ciò, io non credo che i dazi dureranno a lungo. Non vedo impatti strutturali importanti sulle batterie, se non un’ulteriore spinta verso un mondo sempre più frammentato. Per me il punto non è tanto economico, quanto semantico: questi dazi rappresentano la fine della globalizzazione così come l’abbiamo conosciuta. Trump si muove come un elefante in cristalleria, ma questa idea di “reshoring”, di riportare le produzioni a casa, è già in atto da tempo — e Biden, sotto certi aspetti, è stato anche più duro: si è preso tutti gli investimenti e non ha fatto nulla per frenare le tensioni globali, anzi, ha penalizzato pesantemente l’Europa.

Quindi no, non prevedo grandi scossoni sulle batterie, ma piuttosto un’accelerazione verso la localizzazione. Diventiamo sempre più “globali” ma ognuno guardando al proprio orticello. E questo, paradossalmente, potrebbe anche essere un bene per l’Europa. Abbiamo un mercato interno enorme, dobbiamo solo smettere di comportarci come una grande casa di riposo. Se ci svegliamo, gli investimenti possono tornare anche da noi. Perché i soldi ci sono peccato che finora li abbiamo investiti altrove. In America, per esempio.

Come spiega il fallimento di progetti chiave come Northvolt e come può l'Ue sviluppare una catena di approvvigionamento di batterie più resiliente e indipendente?

Non c’è una risposta semplice, ma va detto che in Europa stiamo cercando di costruire una supply chain completamente nuova, e questo è un lavoro titanico. È ovvio che chi è il pioniere (Northvolt ndr.) in questo campo è anche il più esposto al fallimento, ma questi tentativi, per quanto difficili, portano anche una crescita culturale enorme. E sì, il fallimento è parte del processo: impariamo da errori che altri hanno già affrontato. In un mercato che nasce da zero, è normale che non tutti i progetti arrivino alla fine, come è successo con Northvolt. Ma questa è una fase di transizione: ci saranno molti altri fallimenti, ma altrettanti successi, come accadde con la bolla di internet negli anni '90. Ogni errore è parte della crescita, e in mercati più maturi, il rischio è ovviamente più basso.

In Europa i soldi non mancano, ma vanno spesi. Però non è solo questo che conta; la vera differenza la fa l’azione. Non basta avere i soldi, bisogna spenderli nel modo giusto e fare le cose meglio degli altri, ma concentrarsi sull’essere competitivi. Spero che, in questo senso, l'Alkeemia Forum possa aiutare le aziende partecipanti e non solo, a concentrarsi su come essere competitive e a fare le cose nel modo giusto.

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