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Economia
Berlusconi, meno Milan e Mediaset. Più liquidità e alleanze in Europa

di Luca Spoldi

Il prossimo 29 settembre Silvio Berlusconi compirà 79 anni, ma prima di allora la famiglia dell’ex Presidente del Consiglio potrebbe aver sciolto la riserva e deciso quali attività portare avanti e quali cedere al miglior offerente. Se il tema della successione generazionale resta sullo sfondo, come capitato ad ogni grande famiglia del capitalismo italiano quando il capostipite si è avvicinato al traguardo degli 80 anni, in questo caso la concomitanza di una serie di fattori sembra giocare a favore di una decisa ristrutturazione delle partecipazioni in mano alla Fininvest, che finora hanno spaziato da Mondadori a Mediaset, da Mediolanum al Milan.

Partiamo proprio da quest’ultimo: il tam tam delle agenzie sportive da tempo segnala l’intenzione di “Mr Bee”, il finanziere thailandese Bee Taechaubol, a capo della società di private equity Thai Prime, assistito dalla banca d’affari Rothschild, sarebbe pronto a rilevare la quota di controllo (il 51%) del Milan per una cifra attorno ai 500 milioni di euro, equivalente a una valutazione della squadra rossonera di un miliardo, distante dagli 1,5 miliardi che sembrava fino a qualche giorno fa essere la cifra per la quale l’ex “Cavaliere” avrebbe potuto cedere il diavolo, ma pur sempre un multiplo significativamente superiore a quella per la quale nell’ottobre di due anni fa Massimo Moratti cedette il 70% dell’Inter all’indonesiano Erick Thohir (250 milioni, per una valutazione del 100% dell’Inter di poco superiore ai 350 milioni).

Altra partite che sembrerebbe chiusa, questa volta in senso negativo, è quella relativa alle torri di trasmissione: Ei Towers dopo i rilievi della Consob e l’altolà giunto dal Tesoro ha preferito rinunciare l’Opas da 1,22 miliardi di euro su Rai Way, un “fuoco di sbarramento” che il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, ha definito “non del tutto comprensibile” aggiungendo che “quando le polemiche si saranno placate siamo sicuri che la questione di creare una unica grande infrastruttura italiana per la diffusione del segnale tv tornerà in primo piano”. Ipotesi, quella di una ripresa del progetto a medio termine, già avanzata qualche giorno fa dagli analisti di Credit Suisse secondo i quali un’integrazione delle attività delle due aziende continua ad avere un senso industriale, tanto più viste le numerose sinergie ipotizzabili.

Partita apertissima resta invece quella sul 20% circa di Mediolanum che Banca d’Italia ha imposto a Fininvest di cedere (in modo da ridurre la partecipazione entro il 9,9% a seguito della perdita dei requisiti di onorabilità dell’ex presidente del Consiglio), decisione contro la quale la holding si è appellata al Tar Lazio, che ha esaminato il ricorso pochi giorni fa e dovrebbe pronunciarsi nelle prossime settimane. Quasi certamente però non sarà un verdetto definitivo perché chiunque perda è prevedibile un ricorso in secondo grado, come ha preannunciato Ennio Doris, fondatore di Mediolanum e socio di controllo con poco più del 40% del capitale.

Se comunque dovesse essere confermata la validità della decisione di Via Nazionale, Fininvest avrà tempo circa due anni e mezzo per liquidare le quote che potrebbero finire in parte ai Doris (fino a un 5%) e in parte a fondi e investitori istituzionali, per circa 1,2 miliardi ai valori di mercato correnti. A quel punto, non dovendo sborsare 500 milioni (a Berlusconi fa capo il 40% di Ei Towers) e ritrovandosi con 1,6-1,7 miliardi in tasca (tra cessione del Milan e della quota in Mediolanum), cosa faranno i Berlusconi? Molto dipenderà dall’esito della partita più importante di tutte, quella su Mediaset.

Giusto oggi Pier Silvio Berlusconi, vice presidente del gruppo, ha negato che siano in corso colloqui per cedere il controllo di Mediaset a Sky, ma la dichiarazione ha più l’aria di una mezza ammissione che di una smentita piena, visto che finora si era parlato di un incontro tra il magnate australiano Rupert Murdoch, cui fa capo Sky, e lo stesso Silvio Berlusconi ad Arcore per parlare di un’eventuale fusione nella pay-tv tra Sky e Mediaset Premium (che pare far gola soprattutto grazie all’esclusiva sui diritti Champions League per il triennio 2015-2018, costata circa 700 milioni), operazione che per molti analisti avrebbe non pochi problemi non solo a livello di Antitrust ma anche di valutazione dell’enterprise value di Premium, valutata 900 milioni lo scorso anno quando l’11% venne ceduto alla spagnola Telefonica (che si riservò un’opzione “put” per uscire dal capitale nel caso di ingresso di nuovi soci). Per Fidentiis è difficile che Murdoch possa accettare tale valutazione, “considerando che la pay-tv genererà cassa solo dal 2017 e che per farlo avrebbe bisogno di attirare clienti diversi da Sky”.

A quel punto sarebbe più logica, secondo gli analisti, procedere a un’operazione con Vivendi, che di Sky è concorrente e leggendo tra le righe lo stesso Pier Silvio Berlusconi parrebbe non escluda l’ipotesi voi di una cessione di una quota di minoranza di Mediaset, magari dando vita a un’asta tra Sky e il gruppo francese controllato da Vincent Bollorè a cui fa capo Canal Plus e che già nel 1998 aveva offerto a Silvio Berlusconi 7mila miliardi per tutta Mediaset, offerta all’epoca rispedita al mittente. Da allora del resto molte cose sono cambiate e, come notano anche gli analisti di Banca Akros, per i quali Mediaset rappresenta un target “abbordabile” dal punto di vista finanziario, visto che capitalizza 5 miliardi di euro (poco più di 3 volte il fatturato annuo) e di sicuro può rappresentare un “fit strategico” per il gruppo media francese col quale emergerebbero anche alcune sinergie industriali.

Non credono invece ad un interesse di Vivendi per Mediaset gli uomini di Bernstein che spiegano: vi sarebbero poche sinergie concrete legate ad un deal con un “piccolo business nella pay tv” mentre sarebbero elevati i “rischi politici e regolatori” senza contare che l’eventuale upside di una simile operazione appare “largamente dipendente dal (molto incerto) recupero italiano”. Ciò nonostante, se una definitiva uscita di scena politica di Silvio Berlusconi consentisse di mandare in porto anche questa ipotesi (e magari dare disco verde a una futura integrazione Mediaset-Telecom Italia, di cui Vivendi sta per ricevere l’8,235 dei diritti da Telefonica nell’ambito della cessione agli spagnoli della brasiliana Gvt), cosa farebbero i Berlusconi?

Rimarrebbe aperta la partita per rafforzare Mondadori rilevando le attività di Rcs Libri, un’offerta del valore di 120-150 milioni che non impegnerebbe comunque più che una frazione della liquidità a quel punto a disposizione di Fininvest, che con non meno di 1-1,5 miliardi di euro di liquidità potrebbe optare per un futuro in “stile Agnelli”, con una Fininvest sempre più holding di partecipazione sul tipo di Exor, o in “stile Benetton”, reinvestendo la liquidità in business ancora da regolamentare o in quote di gruppi editoriali europei, magari in vista di futuri matrimoni tra Mondadori e qualche editore europeo come Bertelsmann o Axel Springer.

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