Gas, quanto ci costi: le piccole imprese pagano il doppio delle grandi aziende,  la luce "solo" il 55% in più - Affaritaliani.it

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Gas, quanto ci costi: le piccole imprese pagano il doppio delle grandi aziende,  la luce "solo" il 55% in più

In Italia a gonfiare i prezzi sono, in particolare, i costi di rete (trasporto e gestione del contatore), le tasse e gli oneri di sistema. Intanto sono oltre 5 milioni di italiani in povertà energetica, la metà è al Sud

di redazione economia

Cgia: "Artigiani, negozi e Pmi pagano molto di più per gas ed elettricità rispetto alle grandi aziende"

Le piccole imprese pagano il gas in bollette il doppio delle grandi. A denunciarlo è l’Ufficio studi della Cgia. Se per le bollette dell’energia elettrica gli artigiani, gli esercenti, i negozianti e i piccoli imprenditori pagano il 55% cento in più delle grandi industrie manifatturiere e/o commerciali, per quelle del gas addirittura il doppio.

"Il divario di costo tra grandi e piccole imprese è sempre esistito, anche negli altri Paesi europei, tuttavia in Italia il peso delle piccole imprese italiane sull’economia nazionale non ha eguali. Pertanto, la penalizzazione delle nostre micro e piccole aziende" è maggiore, osserva la Cgia.

Nel 2024 le piccole aziende hanno pagato il gas mediamente 99,5 euro a megawatt-ora (mwh) e le grandi 47,9 euro. Rispetto ai nostri principali concorrenti commerciali, solo la Francia presenta un costo del gas, pari a 103,9 euro al mwh, superiore al nostro. Germania (95 euro) e soprattutto la Spagna (48,5 euro) beneficiano di costi inferiori. Per le nostre grandi imprese, invece, il confronto è meno impietoso; solo in Germania il costo del gas è superiore a quello italiano.

L’anno scorso l’energia elettrica è costata alle piccole aziende italiane 218,2 euro al MWh, contro i 140,4 euro al MWh che sono stati pagati dalle realtà più grandi. In Italia a gonfiare i prezzi delle bollette della corrente delle imprese sono, in particolare, i costi di rete (trasporto e gestione del contatore), le tasse e gli oneri di sistema che nelle piccole aziende hanno una incidenza pari mediamente al 40 per cento del costo totale. Una quota che nelle grandi imprese scende al 17 per cento.

Quanto ai settori a rischio blackout, i rincari delle bollette riguardano, in particolare, i settori energivori. Per quanto riguarda il consumo del gas, le difficoltà hanno colpito i comparti del vetro, della ceramica, del cemento, della plastica, della produzione di laterizi, la meccanica pesante, l’alimentazione, la chimica etc. Per quanto concerne l’energia elettrica, invece, rischiano il blackout le acciaierie/fonderie, l’alimentare, il commercio (negozi, botteghe, centri commerciali, etc.), alberghi, bar-ristoranti, altri servizi (cinema, teatri, discoteche, lavanderie, etc.).

Tremano molti distretti produttivi: le difficoltà. Dopo lo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina a soffrire tremendamente i rincari dei costi energetici sono stati: il cartario di Lucca-Capannori; le materie plastiche di Treviso, Vicenza e Padova; i metalli di Brescia-Lumezzane; il metalmeccanico del basso mantovano; il metalmeccanico di Lecco; le piastrelle di Sassuolo; la termomeccanica di Padova; il vetro di Murano.

Intanto sono oltre 5 milioni di italiani in povertà energetica, la metà è al Sud. I dati 2023 dell’Osservatorio italiano sulla povertà energetica, quasi 2,4 milioni di famiglie italiane si trovano in povertà energetica, quindi 5,3 milioni di persone che vivono in abitazioni poco salubri, scarsamente riscaldate d’inverno, poco raffrescate d’estate, con livelli di illuminazione scadenti e con un utilizzo molto contenuto dei principali elettrodomestici bianchi.

A livello territoriale la situazione più critica si verifica in Calabria, dove il 19,1 per cento delle famiglie, composte da quasi 349mila persone, si trovava in condizioni di PE. Seguono la Basilicata (17,8 per cento) il Molise (17,6 per cento), la Puglia (17,4 per cento) e la Sicilia (14,2 per cento). Le regioni, invece, meno interessate da questo fenomeno sono il Lazio (5,8 per cento del totale delle famiglie), Friuli Venezia Giulia (5,6 per cento) e, in particolare, Umbria e Marche (entrambe con il 4,9 per cento).

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