Economia
Brand o brand...elli / Abercrombie & Fitch, ascesa e caduta di un marchio esclusivo che oggi prova a diventare inclusivo
Dall’élite bianca dei primi anni 2000 al rebranding inclusivo di oggi, la parabola di Abercrombie & Fitch racconta molto più che moda







Abercrombie & Fitch: l’ascesa, la caduta e la rinascita di un sogno americano tossico
C’era un tempo, neanche troppo lontano, in cui indossare una felpa con la scritta "Abercrombie" era uno status symbol: bastava un logo cucito al petto per essere "cool". Ma quel mondo, fatto di bellezza patinata aveva fondamenta fragili. Di fronte al successo, pochi brand hanno incarnato un’epoca come Abercrombie & Fitch. Di fronte al fallimento, ancora meno sono riusciti a risorgere.
Fondata nel 1892, Abercrombie & Fitch nasce come negozio di articoli sportivi d’élite, un emporio per l’alta società americana, dove si vendevano kit da caccia, canoe e abbigliamento outdoor. Era il brand dell’aristocrazia, del tempo libero dei ricchi, dell’avventura ben vestita.
La svolta arriva negli anni ‘90. Mike Jeffries, nominato CEO nel 1992, riscrive l’identità del marchio. Il target? Gli adolescenti americani. Ma non tutti: solo quelli giusti. I cool kids. L’élite dei corridoi scolastici, i quarterback, le cheerleader. Abercrombie non vende più abiti, ma un’identità aspirazionale. Non importa se sei dentro o fuori, l’importante è farlo sapere. Il marketing è aggressivo, esclusivo, sessualizzato: nei negozi lavorano solo ragazzi belli spesso bianchi, atletici, scolpiti. Il messaggio è altrettanto chiaro: se vuoi appartenere, devi somigliare. Tutto il resto è irrilevante.
Le campagne pubblicitarie sembrano uscite da un casting per una rivista erotica. Corpi giovani, oliati, semi-nudi, che più che invitare all’acquisto, seducono. Il brand diventa culto. Gli store, veri e propri club esclusivi con luci soffuse, musica alta e profumo diffuso nell’aria, sono templi del desiderio giovanile. Ma sotto questa patina dorata, qualcosa inizia a incrinarsi.
Discriminazione e razzismo
Con il tempo, la stessa strategia che aveva portato A&F al vertice diventa la sua rovina. Il marchio viene accusato di discriminazione sistemica, razzismo, grassofobia e una cultura aziendale tossica. Le cause legali si moltiplicano. Emergono testimonianze agghiaccianti: dipendenti non assunti perché non "abbastanza belli"; manager istruiti a posizionare i lavoratori bianchi davanti al negozio e quelli di colore nel retrobottega.
Jeffries stesso dichiara pubblicamente che Abercrombie è "un marchio per persone di successo, belle e popolari". In altre parole: non è per tutti. Un modello di business esclusivo e imbevuto di estetica che però negli anni 2010 si scontra con un cambiamento culturale profondo. Il mondo inizia a reclamare rappresentazione, inclusività, sostenibilità. E Abercrombie, ancorata al suo immaginario fatto di "perfezione", non regge l’urto. Così nel 2014 Mike Jeffries si dimette.
Il documentario
Il documentario di Alison Klayman su Netflix non è solo un ritratto di Abercrombie. È un’istantanea della cultura americana degli anni 2000. Attraverso interviste, archivi e voci dei protagonisti, tra cui ex modelli e dipendenti, viene smontata l’estetica scintillante del marchio, svelandone la matrice profondamente selettiva. "Abercrombie vendeva un sogno, ma era un sogno tossico, irraggiungibile per la maggior parte delle persone," racconta un ex dipendente.
La rinascita
Ma la storia non finisce con la caduta. Dal 2014, sotto la guida della nuova CEO Fran Horowitz, Abercrombie comincia una trasformazione profonda e silenziosa. L’obiettivo è semplice: abbandonare l’élite per abbracciare l’inclusività. Non più solo per i "belli e popolari", ma per chiunque voglia sentirsi rappresentato.
Diversità nei modelli, taglie più inclusive, una comunicazione più autentica, meno spinta e sessualizzata. Persino il tono dei negozi cambia, niente più discoteche profumate, ma spazi più accoglienti e neutri. A fare la differenza, però, è anche la strategia operativa.
Dopo la pandemia, Abercrombie adotta un sistema di gestione dell’inventario agile, con ordini effettuati solo poche settimane prima del lancio, per adattarsi rapidamente alla domanda e ridurre gli sprechi. Le vendite, nel 2023 e 2024, tornano a crescere a ritmi record, +16% e +10% rispettivamente. Le azioni dell’azienda volano.
Un brand guarito dalle proprie ferite
Nel 2025, Abercrombie & Fitch è finalmente un marchio che ascolta, che impara, che si evolve. Non dimentica il passato, anzi, lo espone, lo analizza, lo decostruisce. L’azienda è ora un esempio di rebranding etico, e il suo ritorno in auge, anche sui social, dimostra quanto il pubblico sia disposto a perdonare, ma non a dimenticare. Come sottolinea il Financial Times, il nuovo Abercrombie non seduce più con l’esclusione, ma conquista con autenticità e rilevanza culturale.
Ad oggi il caso Abercrombie è diventato un monito per l’intera industria della moda. Oggi sappiamo che non essere "cool" può essere molto più rivoluzionario che cercare di esserlo a tutti i costi. E che un’etica inclusiva, sostenibile e rispettosa è l’unico stile che non passa mai di moda.