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Economia
Briciole all'Italia per compensare le perdite legate alla Brexit

“L’Italia viene fortemente penalizzata dai criteri di riparto dei fondi, che non riflettono correttamente l’impatto della Brexit sulle economie nazionali. Sui 4 miliardi di euro da suddividere in prima battuta, all’Italia spetterebbero infatti solamente 82 milioni, nonostante le enormi perdite che soprattutto il settore agroalimentare subirà. Una cifra ridicola, sia per il volume degli scambi commerciali tra Italia e Regno Unito, sia per le cifre proposte ad altri stati: alla Germania spetterebbero 429 milioni, alla Francia 396, all’Irlanda quasi un miliardo. Perfino il Belgio (305 milioni) e l’Olanda (713 milioni) avrebbero cifre molto più consistenti della nostra. Il governo Draghi è nato anche per dare all’Italia maggior peso in Europa ma al momento, purtroppo, non se ne colgono gli effetti. Lanciamo un appello al Presidente Draghi: faccia rispettare l’Italia in Europa e pretenda una più equa e sensata ripartizione della riserva di adeguamento alla Brexit".

Con questa dura nota Giovanbattista Fazzolari, responsabile del programma  di Fdi  e componente della commissione del senato per i rapporti con la Ue ha voluto sottoporre alla tensione del nuovo governo la delicata questione, in merito alla ripartizione della cosiddetta “riserva di adeguamento” per la Brexit. Stiamo parlando  in pratica di una ripartizione di fondi, decisa dalla commissione a dicembre 2020, divisi fra tutti gli Stati europei per compensare quanti hanno subito perdite dall'uscita di Londra dall'Europa.

La Riserva, che ammonta a 5 miliardi di euro in prezzi 2018 (5,37 miliardi a prezzi correnti), è destinata al sostegno della spesa pubblica degli Stati membri, in favore delle misure di assistenza alle imprese e alle comunità locali che hanno subito ripercussioni negative a causa della Brexit, nei settori economici più colpiti, tra cui il settore del commercio e quello dalla pesca nelle acque del Regno Unito, nonché in favore di misure di sostegno all’occupazione e alla riqualificazione professionale, misure volte a garantire i controlli alle frontiere, doganali, sanitari e fiscali, e a garantire i regimi di certificazione, autorizzazione ed etichettatura di prodotti, e misure di informazione e sensibilizzazione di cittadini e imprese in merito alle modifiche dei loro diritti ed obblighi in conseguenza della Brexit.

I 5 miliardi di euro sono ripartiti tra gli Stati membri in base a criteri individuati nell’allegato I alla proposta, riferiti ai dati relativi al commercio con il Regno Unito e all’attività di pesca nelle sue acque. Certamente la quota affidata al nostro paese considerando i numeri dell’interscambio commerciale fra Italia e Gb, sembrano a prima vista, davvero briciole, soprattutto se confrontati con i fondi ricevuti da paesi molto più piccoli, sia fisicamente che economicamente, come per esempio Irlanda o Olanda. Il Regno Unito, infatti, rappresenta il quarto mercato di sbocco per le esportazioni italiane, che rischiavano dazi medi del 3% che per alcuni prodotti alimentari potevano raggiungere anche il 30% in caso di no deal. Tuttavia con la Brexit il Regno Unito è diventato in tutto e per tutto un mercato separato. E questo avrà sicuramente degli effetti, per quanto attenuati dall’intesa.

A pagare il prezzo più alto sarà certamente Londra (anche se con la campagna vaccinale in stato molto più avanzato rispetto alla UE, questi potrebbero essere mitigati molto presto da un probabile pronto recupero della sua economia), ma anche le aziende europee ovviamente andranno incontro a delle perdite e a notevoli disagi, legati alle formalità doganali, alle certificazioni e ai controlli sui prodotti e soprattutto all’inevitabile aumento dei costi logistici. A pagare il conto più salato probabilmente per quanto riguarda il nostro paese, sarà il settore agroalimentare per il quale la Gran Bretagna rappresentava un importante mercato di sbocco. Basti pensare al vino che nel 2020 ha registrato un - 3% di esportazione verso il Regno Unito (a fronte di un +3,2% nel 2019). Il fondo istituito dalla Commissione non servirà solo a fornire sostegno ai settori economici, alle imprese e alle comunità locali (come quelle che operano nel settore della pesca), ma anche a dare sostegno all’occupazione e al reinserimento nel mercato del lavoro per tutti quei cittadini europei che dovranno rientrare dal Regno Unito.

Ecco perché la cifra stabilita dalla commissione appare davvero poca cosa per il nostro paese, considerando che i prodotti Made in Italy che vanno verso il Regno Unito rappresentano circa il 5% dell’export italiano nel mondo (dati Istat). Una percentuale che tradotta in cifre corrisponde a oltre 23 miliardi di euro all’anno. Soprattutto per alcuni settori: quello di macchinari e apparecchiature, auto, appunto prodotti alimentari e abbigliamento, che insieme coprono circa il 40% delle esportazioni Oltremanica.  I 4 miliardi di anticipo sono stati distribuiti tra i paesi UE sulla base di una serie di indicatori sugli scambi commerciali, che hanno dato una fotografia plastica dell’impatto della Brexit sulle economie di ogni Stato Membro. 

Un importo aggiuntivo, inoltre, è stato assegnato in relazione alle perdite che alcuni Stati europei subiranno nel settore pesca, a causa delle limitazioni di accesso alle acque inglesi. Alla luce di ciò è chiaro perché la quota maggiore di fondi sia stata destinata all’Irlanda che si porta a casa appunto quasi 1 miliardo di euro. Ora toccherà ai singoli stati rendicontare le spese sostenute fino a dicembre 2022 per aiutare i settori messi in difficoltà dalla Brexit e qui che il governo Draghi dovrà far valere tutte le sue competenze per cercare di ottenere una quota maggiore di fondi per il nostro paese

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