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Economia
Carige, la 'stramba' idea di Malcalza: il tesoretto di Pirelli va in fumo


Undici anni or sono Banca Carige “valeva” il 5,4% del mercato italiano del credito, avendo investito 1,27 miliardi in acquisizioni tra il 1993 (quando iniziò la conquista della CR Savona) a pochi mesi prima (quando si era conclusa l’acquisizione di Banca Cesare Ponti), avendo raccolto altrettanto tra Ipo (105 milioni di euro nel 1995), conversioni di bond (61 milioni), aumenti di capitale (704 milioni, sottoscritti tra gli altri da investitori del calibro di Cncep, Cdc e WestLB) ed emissioni di bond subordinati (400 milioni nel 2001).

banca carige ape
 

Un’espansione che l’aveva portata ad aprire 500 filiali bancarie e 395 agenzie assicurative in tutta Italia, Ora Malacalza deve varare un aumento da 560 milioni entro fine anno, oltre a 200 milioni di dismissioni, per rispondere alle richieste avanzate dalla Bce di varare una forte e veloce iniezione di liquidità, nell’attesa di varare un’ulteriore cartolarizzazione di Npl per 1,2 miliardi, sempre entro fine anno, dopo i 938,3 milioni cartolarizzati a metà giugno.

Nel frattempo la semestrale ha confermato lo stato di sofferenza in cui si muove ancora l’istituto, che in sei mesi ha perso altri 154,9 milioni e ha chiuso il periodo con 39,3 miliardi circa di raccolta tra diretta e indiretta (era pari a 34,5 miliardi nel giugno 2006), in calo di 1,6 miliardi circa da fine 2015. Di questi 113,8 milioni sono riferiti al secondo trimestre, appesantito tra l’altro da 66 milioni di perdita (e 3,6 milioni di costi per la strutturazione) della già ricordata cartolarizzazione di Npl e da 7,2 milioni di svalutazioni della partecipazione nel Fondo Atlante.

Ora, Paolo Fiorentino parla di “risultati concreti” entro fine anno, di “grande fiducia nelle prospettive della banca”, promette “rapidità di esecuzione e contestuale riduzione dei rischi di implementazione” e sottolinea di avere persino problemi di sovrabbondanza d’offerta (22 in tutto) per il portafoglio Npl e la piattaforma di gestione. Ma il sorriso difficilmente si accenderà sul volto di Vittorio Malacalza ancora per molti mesi e un pensiero potrà sfiorarlo: chi glielo ha fatto fare di lasciare la strada vecchia (l’industria, anche nelle vesti di finanziere oltre che di imprenditore) per quella nuova (il credito, come vice presidente e socio di riferimento di un istituto il cui rilancio rischia di costare in termini di tempo e capitali molto più del previsto)?

Luca Spoldi

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