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Economia
Covid, l'auto rimette la prima. Fca punta sull’ e-car , Mercedes sui Suv

Settore auto sotto pressione in tutto il mondo: complice l’epidemia di coronavirus, le vendite sono già crollate in marzo e non potranno certi riprendersi né questo mese né il prossimo, rischiando semmai di rimanere depresse ancora per alcuni mesi. Così mentre gli analisti tagliano le stime, ogni gruppo prova a darsi una strategia per uscire meglio possibile da questa situazione, muovendosi per lo più in ordine sparso.

Dopo lo stop della produzione, in Cina le fabbriche sono tornate a riaprire da metà marzo, ora si stanno riavviando in Europa, da ultimo tra gli inizi e metà maggio torneranno a lavorare anche gli impianti americani. Si tratta ad ogni modo di un riavvio molto prudente, con ritmi tra il 10% e il 40% di quelli pre-crisi a seconda dei vari produttori e ciascuno sembra puntare su modelli e segmenti di mercato differenti. 

In Europa, Volvo è stata tra le prime a ripartire sia in Svezia già a metà mese sia, la settimana dopo, in Belgio. Il 22 e 23 aprile è toccato agli stabilimenti di Toyota in Francia e Polonia riaprire i cancelli (il 4 maggio toccherà agli impianti in Gran Bretagna, Repubblica Ceca e Turchia), l’Audi (gruppo Volkswagen) è già ripartita in Ungheria, mentre la capogruppo Volkswagen sta riaprendo in Germania (dove si punta ad arrivare al 40% dei livelli pre-crisi, partendo dal modello Golf e sull’elettrica ID3), Portogallo, Spagna, Repubblica Ceca e Russia (oltre che in Sud Africa).

E poi ancora: la Hyundai è già ripartita in Repubblica Ceca, Daimler ha riavviato l’impianto austriaco di Magna Steyr dove si costruisce il Suv Mercedes Classe G, Renault la produzione di cambi e trasmissioni in Portogallo. Proprio Renault tuttavia sta valutando se proseguire o meno la produzione della Megane.

La compatta francese vide il picco di vendite nell’ormai lontano 2004 con 465.778 unità. Le vendite sono poi progressivamente calate sino a 129.222 unità lo scorso anno, alle prese con una concorrenza sempre più serrata in un segmento dai margini risicati. Così il management del gruppo ha iniziato a far trapelare la possibilità che gli investimenti per continuare ad aggiornare il modello possano essere destinati ad altri obiettivi.

Fca da parte sua ha riavviato ieri, con l’obiettivo di arrivare al 50% dei livelli pre-crisi, l’impianto Sevel (storica joint-venture con Psa) di Atessa, dove si producono i furgoni Ducato, oltre che singoli reparti a Cassino e Pomigliano che producono componentistica destinata allo stabilimento di Sevel. Sono poi state riavviate le operazioni nella fabbrica di Termoli e di Melfi.

Qui sono da completare 600 modelli a motore termico rimasti sulle linee di montaggio, prima di iniziare l’assemblaggio dei primi esemplari pre-serie delle nuove Jeep Renegade e Compass 4x4 da usare per i test su strada prima dell’avvio della produzione di serie. Riaperto infine Mirafiori, per ora solo per 250 dipendenti che assembleranno le prime Fiat 500 elettriche, così come sono ripartiti gli impianti italiani della Ferrari

Manca all’appello Psa e non è un caso: il futuro partner di Fca dopo aver annunciato di essere pronto a riaprire due stabilimenti francesi (la fabbrica di cambi di Valenciennes il 30 marzo e quella di motori di Douvrin il 3 aprile) ha dovuto fare marcia indietro per la risposta negativa dei sindacati e parla ora di riapertura graduale, senza però aver fissato nuove date certe.

Dall’altra parte dell’Atlantico, negli Usa, ultimi ad essere investiti dalla pandemia di coronavirus, il calendario delle riaperture è ancora più graduale. Fca, d’accordo con Ford e General Motors, ha deciso di far slittare dal 4 al 18 maggio la riapertura degli impianti per venire incontro alle richieste dei sindacati. Sindacati che pesano poco o nulla per i costruttori tedeschi come Mercedes, che ha riaperto ieri (27 aprile), Bmw (pronta a ripartire il primo maggio) e Volkswagen (che riprenderà il 3 maggio). 

Puntano a confermare il riavvio degli impianti Usa il 4 maggio Toyota, Hyundai e Kia, con Tesla che era sembrata tentata dall’anticipare i tempi, ma alla fine ha confermato la data del 4 maggio. Il 13 maggio seguiranno Honda (che negli States ha ben 13 impianti), Subaru, Nissan e Volvo. Infine, sotto la pressione dei produttori, anche il governo messicano ha dato il suo via libera alla riapertura degli impianti, purché come in Europa e negli Usa ciò avvenga adottando rigorose misure di sicurezza per i lavoratori. 

Non c’è ancora un calendario ufficiale, ma non dovrebbe essere di molto diverso da quello nordamericano. Il settore automobilistico pesa del resto per il 17,6% dell’intero comparto manifatturiero messicano e fino allo scorso anno dava lavoro ad oltre 977 mila persone. E’ facile prevedere che, così come già nel resto del mondo, anche in Messico il dilemma tra tutela della salute e tutela dell’economia condizionerà il dibattito politico nelle prossime settimane.

 

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