Deutsche Bank, lo spettro di un'altra ricapitalizzazione. I nodi del piano
Dopo il nuovo piano e le parole del Ceo Sewing,nessun analista ha alzato il giudizio sul titolo: tutti sottolineano l’elevato rischio di esecuzione. Ko in Borsa
Una sonora bocciatura da parte del mercato. Deutsche Bank in altalena alla borsa di Francoforte, col titolo che prima guadagna il 4%, poi cala di oltre il 6% rispetto a venerdì scorso dopo l’annuncio (-5,39% oggi a fine seduta), ampiamente atteso, del varo di una maxi ristrutturazione che taglierà 18 mila dipendenti, in gran parte all’estero, mettendo fine alle ambizioni globali con l’uscita dalle operazioni di trading e vendita azioni e la creazione di una “bad bank” a cui verranno conferiti 74 miliardi di attività ponderate per il rischio (Rwa), di cui la maggior parte dovrebbero essere dismesse già entro la fine del prossimo anno, equivalenti a 288 miliardi di esposizioni a leva, che libereranno capitale da distribuire a partire dal 2022. Un modo elegante, quest’ultimo, per dire che agli azionisti sicuramente non verrà distribuito alcun dividendo quest’anno e il prossimo, mentre per il 2021 si vedrà.
Ma la rinuncia alle ambizioni globali e il sacrificio del dividendo non sono gli unici punti dolorosi del piano varato dal Cda della banca tedesca, giunto non a caso dopo il fallimento delle trattative per dar vita a un’aggregazione con Commerzbank (partecipata dallo stato tedesco che sia pure con qualche tentennamento non è mai davvero apparso interessato a correre in aiuto di Deutsche Bank “a qualunque costo” ma solo, eventualmente, dopo che fosse stato portato a termine il turnaround del gruppo). Un altro punto da chiarire è quanto costerà l’intera operazione: per quest’anno Deutsche Bank prevede oneri da ristrutturazione per 5,1 miliardi, ovvero 7,4 miliardi nel complesso, ma non è detto che non possano risultare superiori, anche perché non è chiaro a che prezzo potranno essere ceduti gli asset “a rischio”.
C’è poi l’aspetto relativo ai risultati futuri: Deutsche Bank punterà su due grandi aree di business, quella corporate (ossia i servizi di tesoreria per le aziende) e quella bancaria retail (che soprattutto in Germania è lungi dall’aver voltato pagina, non fosse altro per l’elevata frammentazione che tuttora presenta il settore e per il persistere di tassi vicini o sotto zero). In parallelo il Ceo del gruppo, Christian Sewing, intende tagliare il cost/income ratio al 70% entro il 2021, abbattendo i costi di 6 miliardi a circa 17 miliardi, ossia circa un quarto in meno dei livelli attuali. Obiettivi che agli analisti sembrano fin troppo “ambiziosi” a fronte di un rischio di esecuzione “elevato”. Ma se anche venissero centrati, Deutsche Bank sarebbe lontana dall’essere una prima della classe: per fare un paragone, il cost/income ratio di Unicredit e Intesa Sanpaolo già ora oscilla attorno al 53%.
Il gruppo guidato da Jean-Pierre Mustier ha tagliato i costi operativi a fine 2018 a 10,7 miliardi, quello che fa capo a Carlo Messina a meno di 9,5 miliardi. Il mercato ha apprezzato, almeno in termini relativi, così Unicredit (pur cedendo oltre il 21% rispetto a 12 mesi fa) capitalizza poco meno di 26 miliardi di euro, Intesa Sanpaolo (pure lei circa -21% a un anno) ne capitalizza oltre 35,5, mentre Deutsche Bank in termini borsistici valeva venerdì 14 miliardi di euro e rischia da stasera di valere ancora meno.
Se l’annuncio doveva far ritrovare la fiducia del mercato in Deutsche Bank e nel suo management, per ora l’obiettivo sembra fallito, tanto che dei 15 analisti che si sono espressi in queste ore, tutti senza eccezioni hanno confermato la visione negativa che già avevano sul titolo, il che non è propriamente un bel biglietto da visita. Sullo sfondo resta infatti un ultimo punto interrogativo, non di poco conto. Con una ristrutturazione partito oggi con licenziamenti in Asia da Sidney a Mumbai e che produrrà una perdita di 2,8 miliardi dopo le tasse già nel secondo trimestre 2019, anche se nel 2020 si dovesse raggiungere l’auspicato break-even, si può davvero essere certi che non sarà necessario un nuovo aumento di capitale, come promette Deutsche Bank sottolineando la sua attuale “forte posizione patrimoniale” e la fiducia nella natura di alta qualità e basso rischio delle attività su intende focalizzarsi?
Sewing, fissando a 25 miliardi di euro di ricavi e 6 miliardi di euro di utili l’obiettivo per il 2022, ostenta fiducia e anzi annuncia che intende investire “una quota rilevante” della sua retribuzione fissa in azioni della banca e che i dettagli verranno resi noti “a breve”. Ma dal 2014 a oggi solo lo scorso anno Deutsche Bank era riuscita a segnare un utile operativo, a cui dovrà rinunciare di nuovo almeno per un altro paio d’esercizi. Nel frattempo i rivali del gruppo tedesco approfitteranno della sua uscita dal trading azionario, soprattutto in America, e dello smantellamento delle attività di investment banking.
Se dalle attività corporate e retail (ma anche dal private banking e asset management) non dovessero arrivare i risultati attesi, gli azionisti della banca tedesca potrebbero essere chiamati di nuovo ad aprire il portafoglio. Un dubbio che deve aver sfiorato la mente degli analisti di Moody’s quando oggi hanno confermato il rating dell’emittente ad “A3” segnalando come il piano sia “un passo in avanti” ma mantenendo comunque l’outlook sul rating stesso “negativo” a causa della “significativa sfida” che pone un contesto caratterizzato da tassi di interessi prossimi a zero. E che a giudicare dalle ultime dichiarazioni di Mario Draghi, presidente uscente della Bce, non cambieranno tanto rapidamente, appunto.
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