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Economia
Fca, le mail che imbarazzano Marchionne. E i rischi legali salgono a 4,5 mld

Quanto costerà a Fiat Chrysler Automobiles il “dieselgate” relativo all’utilizzo di un software “irregolare” che il gruppo avrebbe utilizzato su 104mila veicoli venduti negli Usa per superare i test anti inquinamento? I ripetuti apprezzamenti da parte del presidente Donald Trump nei confronti di Sergio Marchionne e il probabile futuro allentamento dei limiti alle emissioni inquinanti da parte della Casa Bianca hanno fatto ipotizzare in questi giorni un atteggiamento dell’Epa più “morbido”.

Sergio marchionne fca
 

Ma  brani tratti da chat room interne ed e-mail esterne presentati lunedì dagli avvocati di azionisti del gruppo che hanno intentato una causa davanti al tribunale federale di Manhattan mostrerebbero come alcuni dipendenti “presumibilmente” stessero discutendo l’utilizzo di “dispositivi di disfunzione”, ossia del software in questione che per l’accusa avrebbe permesso ai veicoli del gruppo di soddisfare, nei test, gli standard sulle emissioni, salvo poi inquinare ben oltre i limiti una volta messi in circolazione. L’esatto opposto di quanto finora sostenuto dal gruppo italo-americano.

Un’accusa che se provata potrebbe non solo indurre gli analisti a rialzare le proprie stime sui costi che Fca dovrà sostenere per chiudere le pendenze giudiziarie negli Usa (1,5-2 miliardi di dollari), ma forse indurre il Dipartimento di Giustizia, con cui Fiat Chrysler Automobiles ha in corso trattative, a mantenere un atteggiamento inflessibile nonostante le “simpatie” presidenziali, col rischio per il gruppo guidato da Sergio Marchionne di dovere alla fine pagare una cifra vicina ai 4,5-5 miliardi di dollari di cui si era inizialmente parlato, anche se lo stesso Dipartimento di Giustizia ha evitato finora di indicare una cifra, parlando solo di attendersi una penale “sostanziale”.

marchionne ape
 

Ma cosa è emerso di tanto grave nel dibattimento in corso a New York? In uno scambio di e-mail del 22 settembre 2015 lo stesso Marchionne avrebbe rimproverato il responsabile della comunicazione negli Usa, Gualberto Ranieri, per aver pubblicamente negato l’utilizzo di dispositivi illegali da parte della casa automobilistica pochi giorni dopo che Volkswagen aveva, al contrario, ammesso pubblicamente di aver truccato i risultati dei propri test di emissione.

Una dichiarazione che Marchionne giudicava evidentemente frettolosa, essendo stata diffusa prima di conoscere i risultati di un’indagine interna sul tema. In una successiva chat room del giugno di quello stesso anno un manager del gruppo (che già in una mail del 2013 avrebbe definito altri colleghi degli “imbroglioni”) avrebbe invece ammesso che il software istallato sui 104mila modelli incriminati (venduti tra il 2014 e il 2016) era “un dispositivo volto essenzialmente ad ostacolare” la corretta rilevazione dei valori inquinanti.

Ancora pochi mesi dopo, nel novembre 2016, un altro dirigente di Fca responsabile dei test sulle performance e sul consumo di carburante avrebbe spiegato di aver fatto “un po' di coaching” su come l’azienda avrebbe dovuto confrontarsi coi regolatori in merito all’utilizzo del software, suggerendo in particolare di dire che “forse la calibrazione non è così accurata in certe condizioni” ma che non c’era “nulla che potesse rivelarsi essere un dispositivo per il controllo ausiliario delle emissioni” (ossia per truccare i test, ndr).

(Segue...)

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