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Economia
Imprese (medie) e reverse factoring: a che cosa serve e chi può esercitarlo

Imprese e reverse factoring, che differenze ci sono con lo sconto bancario

Affaritaliani.it ha approfondito con l’avv. Nicola Ferraro, founder e partner di de Tilla Studio Legale (https://www.studiodetilla.com/), il tema molto attuale del reverse factoring e delle differenze di questo istituto con lo sconto bancario.

Avvocato Ferraro, cos’è il reverse factoring?

Il reverse factoring o factoring indiretto è una transazione win-win, ovvero un servizio che consente a una impresa fornitrice di incassare in anticipo i crediti in essere nei confronti di un’impresa debitrice e sorti dall’esercizio dell’attività di impresa.

Ciò avviene tramite una convenzione che consiste in un’inversione del processo tradizionale di factoring. Rispetto alla figura del factoring tradizionale, infatti, è il debitore (e non il creditore) che ricorre a tale strumento per ottimizzare la gestione di tutto il proprio ciclo passivo, ovvero i flussi di lavoro esistenti con azienda e magazzino.

Solitamente ricorrono al reverse factoring gruppi commerciali o industriali di medie – grandi dimensioni, per offrire condizioni vantaggiose a tutti i propri fornitori, i quali snelliscono, in tal modo, le procedure di incasso dei crediti. I vantaggi si traducono nel sostegno alle piccole imprese fornitrici, nella garanzia della continuità dei rapporti tra fornitore e cliente (debitore) e nell’ottimizzazione del capitale circolante operativo di tutta la catena.

Come funziona il reverse factoring?

Nel reverse factoring, anche detto credito di filiera, su impulso di una impresa debitrice viene ceduto al factor (spesso una banca) il credito vantato dai fornitori nei confronti dell’impresa debitrice ottenendone in cambio liquidità. Si tratta di un moderno strumento finanziario teso a sostenere le aziende coinvolte in una filiera produttiva e a facilitare la gestione del capitale in circolo.

La cessione del credito si può svolgere in due modi:

  • factoring pro solvendo, con la quale il rischio di insolvenza del debitore rimane a carico del cedente;

  • factoring pro soluto, con il quale il finanziatore (i.e., la banca) assume su di sé il rischio del mancato pagamento del debito. Nell’accordo si determina preventivamente il limite massimo dell’importo dei crediti per i quali il factor intende assumersi i relativi rischi.

Ci può fare un esempio concreto di factoring indiretto?

Possiamo prendere in considerazione due imprese: l’impresa A, produttrice di zucchero e l’impresa B, impresa solida di grandi dimensioni e operativa a livello internazionale, di cui la A è fornitrice. Secondo l’iter tradizionale del factoring, la A si dovrebbe rivolgere a un istituto di credito per avere un anticipo, parziale o totale, dell’equivalente monetario dei propri crediti. Con il credito di filiera, invece, l’impresa B (i.e., la debitrice) sigla un accordo con un istituto di credito (factor) per la gestione del proprio portafoglio debitorio.

(segue)

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