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Economia
Insaccati, allarme rosso: peste suina devasta settore da 10 mld

Peste suina, Confederazione Produttori Agricoli: “Intervenire rapidamente per scongiurare il default”. Il prezzo al chilo è...

Il comparto degli insaccati italiani, un’eccellenza a livello mondiale, vale circa 10 miliardi di euro ma secondo gli esperti è in condizioni di gravissimo affanno. La diffusione della peste suina africana (PSA) sta procurando un danno economico di mezzo miliardo di euro. “In mancanza di interventi, si rischia il vero e proprio default del comparto”, spiega la Confederazione Produttori Agricoli, “con l’abbattimento di milioni di suini allevati e la perdita irreversibile di migliaia di aziende, per una filiera fondamentale in termini economici, con un valore di oltre 10 miliardi di euro, senza contare l’export, e circa 40.000 addetti, ma anche qualitativi, esprimendo ben 42 Indicazioni Geografiche, per un valore di affari pari a 1,87 miliardi alla produzione e 4,85 miliardi al consumo”.

“Le esportazioni del comparto in termini di fatturato”, raccontava nel 2022 Assica, associazione industriali delle carni e insaccati, “hanno... mostrato un passo più lento rispetto a quello dell’industria alimentare (+18,5%) e a quello generale del Paese (+19,9%)”.

Una situazione pericolosa che pone in difficoltà una filiera, come il prodotto finale, ma che resta iper controllata. Un contesto ormai così problematico da indurre il governo italiano a nominare tre subcommissari per gestire la crisi: il dottor Mario Chiari, il dottor Giovanni Filippini e il colonnello Simone Siena. Il Ministero della Salute ha anche ufficialmente pubblicato sul proprio sito il Piano nazionale di sorveglianza ed eradicazione 2024 per la Peste Suina Africana (Psa).

Tra gli obiettivi definiti, l’innalzamento del livello di sorveglianza passiva delle popolazioni di suini (domestici e selvatici), il consolidamento del sistema nazionale di allerta e strategie a medio-lungo termine per la gestione delle popolazioni di cinghiali. Nel piano sono segnalate anche battute di ricerca attiva delle carcasse, “obiettivi e modalità operative” e “le linee guida per le misure di biosicurezza per gli abbattimenti di cinghiali nelle zone sottoposte a restrizione per peste suina africana”.

Il contagio arriva dai cinghiali che possono però estendere la malattia ai maiali, anche se la malattia non colpisce in alcun modo gli esseri umani.

La carne di maiale, proveniente dalla zone sottoposte al controllo, verrebbe pagata attualmente 1,5 euro al chilo, a fronte di un costo di produzione di 1,9 euro al chilo. Accade anche se il prezzo medio della carne di maiale oggi è 2,2 euro al chilo.

In Italia considerando l’insieme dei salumi e delle carni suine fresche, il consumo pro capite è rimasto stabile a 28,4 kg, grazie all’incremento registrato dai consumi di carne suina fresca. Nel 2022, al primo posto si colloca sempre il prosciutto cotto, con una quota pari al 27,8% del totale dei salumi, seguito dal prosciutto crudo al 22,1%, da mortadella/würstel al 20,3%, dal salame all’8,5% e dalla bresaola al 2,4%.

Il settore è però rimasto penalizzato dalle restrizioni dovute alla PSA.

“A oltre due anni dai primi casi di infezione di Peste suina africana-PSA nel continente, non si arresta l’avanzata dell’epidemia, che ad oggi ha colpito oltre 1500 cinghiali e quasi 14.000 suini, con ben 21 focolai accertati, concentrati prevalentemente nel pavese”, spiega la Confederazione Produttori Agricoli.

La peste suina africana si sta diffondendo in Europa, anche se è una malattia endemica nell'Africa sub-sahariana, dove è stata scoperta.

“In Europa”, scrive l’Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, “tra il 1995 e il 2007, la PSA era confinata unicamente alla Sardegna. Tuttavia nel 2007 si verificarono focolai di PSA in Georgia e la malattia si diffuse ai Paesi limitrofi, colpendo maiali e cinghiali selvatici. Nel 2014 vennero segnalati i primi focolai nell'Unione europea, tra i cinghiali selvatici degli Stati baltici e della Polonia. Da allora la malattia si è diffusa ad altri Paesi dell'UE e ai Paesi terzi confinanti e negli ultimi anni si sono verificati focolai anche in Asia, Oceania e in alcuni Paesi americani”.

Già nel 2014 sono stati segnalati i primi casi in Lituania, Polonia, Lettonia ed Estonia; nel 2017 la malattia è stata segnalata in Repubblica Ceca e in Romania; nel 2018 è comparsa in Ungheria, Romania, Bulgaria e Belgio. Ora da noi.

 






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