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Economia
L'emergenza sanitaria ed economica banco di prova per la governance regionale

Le minori entrate tributarie, a causa della pandemia, potranno costringere le amministrazioni -in assenza di adeguate misure di compensazione o dell’approvazione delle riforme fiscali attese da tempo- a dover scegliere se ridurre la spesa corrente, non garantendo i livelli essenziali delle prestazioni o l’esercizio delle funzioni proprie. Oppure, se attivare la leva fiscale violando le norme sugli equilibri dei bilanci e/o non rispettare gli obiettivi di finanza pubblica definiti.

Lo rileva il Rapporto 2020 sulla Finanza territoriale in Italia redatto da sette istituti regionali di ricerca socioeconomica: Ires Piemonte, Irpet Toscana, Srm (Centro studi collegato ad Intesa Sanpaolo), Polis Lombardia, Ipres Puglia, Liguria Ricerche e Agenzia Umbria Ricerche.

Secondo il Rapporto, nel primo mese di lockdown dovuto alla crisi pandemica in atto, oltre il 30% dei lavoratori italiani ha dovuto sospendere la propria attività lavorativa, con un calo del reddito da lavoro di oltre il 20% in buona parte, ma non interamente, compensato dagli interventi nazionali e regionali che hanno determinato una diminuzione del reddito disponibile del 5%, con importanti variazioni regionali e implicazioni distributive.

Nonostante il sistema sanitario del Paese sia giudicato tra i migliori a scala internazionale, gli analisti che hanno redatto lo studio rilevano che esso si presenta di fronte all’evento pandemico con livelli differenziati di preparazione tra regioni. Questo è effetto delle risorse, ma anche dei modelli di governo adottati e infine delle potenzialità socio economiche dei territori amministrati. Il personale medico, in particolare, e i posti in terapia intensiva erano nel 2018 in termini procapite significativamente più alti in alcune regioni rispetto ad altre, con differenze non solo relative all’area geografica o al Pil, dai due medici per 1000 abitanti in alcune regioni a poco più della metà in altre.

Emergono inoltre con drammaticità le conseguenze di un processo di riforma incompiuto (Fabbisogni standard) in uno degli aspetti più importanti quello della garanzia di livelli essenziali di assistenza (Lea) a tutta la popolazione. Nel 2018 sono sette le regioni che presentano indicatori Lea appena sufficienti e con indicatori specifici anche insufficienti (Ministero della Sanità, 2020).

Lo studio evidenzia che le regioni partecipano alle decisioni del governo in modo inedito. Emergono infatti  le criticità della filiera decisionale pubblica, ma anche l’importanza degli enti decentrati nella definizione delle politiche per il territorio. Un esempio è quello delle forniture sanitarie, un aspetto generalmente poco percepito dai cittadini ma che assume molta importanza durante la pandemia. Tutte le regioni intervengono al fine di anticipare le risposte ai bisogni e sostenere l’imprenditoria locale. Questo avviene però in un quadro inefficiente di scarso coordinamento e spesso sovrapposizione con le centrali uniche nazionali. Sette regioni destinano più del 25% dei loro acquisti sanitari nella prima parte del 2020 ad acquisti finalizzati alla gestione della pandemia.

I fondi di Coesione                                                                                                                                                                     Tra il 2008 e il 2018 questi fondi  hanno reso disponibili risorse per un totale di circa 2,1 miliardi a favore delle infrastrutture scolastiche nel nostro paese, di cui più del 60% destinato alle regioni convergenza. Ma in questi territori l’effetto sostitutivo delle risorse europee sulle risorse ordinarie per gli investimenti avrebbe ostacolato il potenziale dei fondi di Coesione in termini di supporto alla crescita e di riduzione dei divari territoriali. Il nuovo ciclo dei fondi 2021-2027 assegna al nostro Paese 43 miliardi di euro che si aggiungono alle rilevanti risorse del Recovery Fund: è essenziale, sostiene lo studio,  uno sforzo di efficienza amministrativa e burocratica senza precedenti per riuscire utilizzarli al meglio e dare finalmente ai nostri territori una reale possibilità di crescita sostenibile e duratura.

Le Zes                                                                                                                                                                                                  Una volta a regime, possono essere uno degli strumenti di attivazione della crescita. Si potrà accrescere il traffico di un porto fino all’8,4% medio annuo e le esportazioni di un territorio fino al 4% aggiuntivo. Un euro di credito di imposta può attivare ulteriori 3 euro di investimenti privati.

Il Rapporto esamina con cadenza annuale l’andamento della congiuntura economica, finanziaria e normativa nelle sue ripercussioni sugli assetti della finanza territoriale. L’evoluzione evidenzia i principali cambiamenti intervenuti dal 2008, da quando sulla spinta della crisi economica -molto più che a causa dei vincoli europei- le amministrazioni territoriali sono state travolte da molti cambiamenti. Si è assistito nel tempo a pesanti tagli alle risorse e a riforme (spesso poco chiare nel disegno generale) avviate e poi rimaste parzialmente incompiute. Le amministrazioni territoriali hanno quindi manifestato l’urgenza non solo di un concreto rilancio degli investimenti, ma anche di un complessivo riordino del quadro tributario e dell’implementazione di un efficace sistema perequativo, anche in vista della concreta attuazione dell’autonomia differenziata.

 

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