Economia
La Cina spaventa ancora l'Europa: Borse in rosso. Piazza Affari chiude in calo

Nuovo drammatico crollo delle Borse asiatiche che arrivano a perdere anche il 7%, facendo scattare il blocco automatico delle contrattazioni per la seconda volta in una settimana. E così mentre Shanghai lasciava sul parterre il 7% e Shenzen crollava dell'8,5%, gli scambi sono stati immediatamente fermati. Le autorità cinesi hanno deciso che sarà l'ultimo intervento, visto che il meccanismo rischia di alimentare ulteriore volatilità.
I mercati Ue hanno reagito con violente vendite nella mattinata, salvo poi recuperare con il petrolio nel pomeriggio. Piazza Affari ha chiuso così in ribasso, ma limitando le perdite all'1,14% e dopo esser scesa sotto 20mila punti, ai livelli di fine gennaio 2015. Londra ha limato l'1,96%, Francoforte il 2,29% e Parigi l'1,72%. Anche a Wall Street, dove i listini sono reduci da una giornata di ribassi, i mercati trattano in ribasso, ma in recupero: alla chiusura degli scambi europei, il Dow Jones cede l'1% come l'S&P 500, mentre il Nasdaq arretra dell'1,4%. Da segnalare l'avvio di 2016 da dimenticare per Apple, che ha perso 40 miliardi di dollari di capitalizzazione in pochi giorni.
I fattori che stanno facendo scattare le vendite sulle piazze azionarie mondiali sono sempre gli stessi: i timori per l'hard landing del Paese della Grande Muraglia, la caduta dei prezzi del petrolio che rafforzano le ansie sul possibile rallentamento dell'economia mondiale (anche la Banca Mondiale ne ha appena preso atto nelle sue ultime previsioni) e le paure geopolitiche per la situazione in Medio Oriente a cui si è aggiunto il timore per il test nucleare condotto dalla Corea del Nord. Timori che avevano innescato un nuovo drammatico crollo delle Borse cinesi.
Stamane i listini del Paese della Grande Muraglia sono arrivati a perdere anche il 7% (Shanghai -7% e Shenzen -8,5%), facendo scattare per la seconda volta questa settimana il blocco automatico, "circuit breakers" (una misura recentemente messa in campo nel tentativo di domare la volatilita' dei mercati del Paese) che hanno spaventato ulteriormente gli investitori.
A complicare la situazione ha contribuito anche la decisione della Banca centrale cinese di svalutare ancora lo yuan dello 0,51% nei confronti del dollaro (a 6,5646, entro una banda di oscillazione del 2%), il livello più basso raggiunto dal 2011. Pechino in una settimana ha svalutato lo yuan almeno del 5%. E' l'ottava svalutazione consecutiva, decisa in quadro piuttosto agitato della politica monetaria cinese. La mossa è stata letta degli investitori, dietro il tentativo palese di Pechino di rilanciare l'export, come un segnale che l'economia del Paese della Grande Muraglia potrebbe rallentare più del previsto: di certo la volatilità della valuta orientale non aiuterà i rapporti con l'occidente (contraddice gli impegni sottoscritti dalla stessa Cina in ambito del G20), a maggior ragione dopo che lo yuan è entrato nel paniere ufficiale del Fmi.
Intanto, continua la discesa del prezzo del greggio. Secondo quanto ha appena reso noto la stessa organizzazione petrolifera di Vienna, il costo del greggio nel paniere di riferimento dell'Opec scende sotto i 30 dollari al barile, per la prima volta dal 5 aprile 2004. Sui mercati della commodity, invece, il Wti viene quotato a 32,53 dollari, mentre il Brent si attesta a 32,92 dollari al barile. Tendenza che ha messo sotto pressione i mercati dei paesi esportatori di oro nero del Golfo. L'indice Tadawull della Borsa saudita cedeva il 3,7% dopo l'avvio, Dubai un meno 4%, Abu Dhabi il 2,3% e la pizza del Qatar un 3%. Più contenuto il calo della borsa del Kuwait, al meno 1,7%, mentre Oman e Bahrain, rispettivamente con meno 0,1 e meno 0,7% hanno limitato i danni.