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Economia
Mediobanca apre il cantiere governance. Rumors: a giugno la partita del Ceo

Banca Mediolanum in gran spolvero a Piazza Affari, dove il titolo ignora i timori di una escalation militare in Medio Oriente che nella prima parte della giornata avevano pesato sul lsitino italiano e chiude in rialzo del 2,15%, sovraperformando rispetto all’indice Ftse Mib (+0,45% a fine giornata), a 8,71 euro per azione. 

Merito delle parole dell’amministratore delegato del gruppo, Massimo Doris, che ha anticipato come il 2019 chiuderà “con un risultato netto molto importante” e che per questo motivo, “anche alla luce del fatto che negli ultimi anni abbiamo riconosciuto ai nostri azionisti 0,4 euro/azione”, quest’anno Banca Mediolanum intende distribuire ai propri azionisti (in primis le famiglie Doris e Berlusconi, che insieme controllano i due terzi del capitale) “anche un dividendo straordinario”.

mediobanca
 

Tornando poi sul tema Mediobanca, di cui Doris ha dichiarato di sentirsi “azionista felice”, il manager è ha ripetuto che non c’è alcuna fusione in vista con Banca Mediolanum: “Abbiamo davanti a noi un futuro brillante e non abbiamo bisogno di fusioni. Lo escludo dunque: siamo entrambi convinti di andare avanti da soli: noi di certo non ci diluiremo con nessuno”, ha sottolineato Doris che poi è sembrato (ri)aprire all’ipotesi di un cambio della governance relativa alla nomina e ai poteri dell’amministratore delegato, venendo così incontro alle richieste giunte da Leonardo Del Vecchio (socio al 9,89% di Piazzetta Cuccia).

Tuttavia, ha subito aggiunto, al di là del peso dei singoli azionisti (oltre al patron di EssilorLuxottica dopo il disimpegno di Unicredit tra gli azionisti rilevanti restano Vincent Bolloré, sceso dal 7,86% al 5%, gli stessi Doris ormai saliti al 4%, i Benetton al 2,1%, i Berlusconi al 2% e, con quote attorno al mezzo punto percentuale o poco più, i Gavio, i Ferrero, i Pecci e gli Angelini), sono i grandi fondi d’investimento che rappresentano un argine “naturale” ad eventuali manovre nell’azionariato della merchant banca milanese che non fossero non gradite al mercato.

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Un singolo socio può anche acquisire quote, ma se mercato e investitori non sono d’accordo, può fare poco”, ha concluso Doris. Come dire: avanti con le modifiche di governance per aprire a candidati esterni al gruppo la successione all’attuale Ceo Alberto Nagel, ma senza forzature. Proprio attorno a Nagel si giocherà la prossima partita in Mediobanca: secondo ipotesi che circolano da tempo a Piazza Affari, alla scadenza dell’attuale Cda a fine ottobre prossimo il banchiere d’affari potrebbe essere “promosso” alla presidenza al posto di Renato Pagliaro (classe 1957) che il 20 febbraio compirà 63 anni e che ricopre la carica dal 2011. Dunque in età da pensione.  

A questo punto è verosimile che la prossima estate partano i giochi per la successione: se si troverà, come sembra, un accordo tra i soci rilevanti per la revisione della governance il nome potrebbe non essere necessariamente quello di Francesco Saverio Vinci (classe 1962, di tre anni più vecchio di Nagel), dal 2010 direttore generale di Mediobanca. 

Cosa sono i PIR, una proposta in qualche modo anticipata da Mediolanum Flessibile Sviluppo Italia, un fondo flessibile focalizza
 

Per selezionare il candidato idoneo che arriverà con molta probabilità da fuori, tuttavia, occorrerà del tempo essendo necessario non solo l’accordo quanto meno tra Del Vecchio, Bolloré, i Doris, i Berlusconi e i Benetton, ma anche trovare la figura in grado di convincere tutti, compresi appunto i grandi fondi (BlackRock dovrebbe essere tuttora poco sotto il 5%, ma anche gruppi come Vanguard, Invesco o Anima oscillano tra l’1% e il 3% di capitale ciascuno) e gli investitori retail, cui fa complessivamente capo circa il 70% del capitale dell’istituto. 

Una volta individuato il candidato, si dovrà poi trovare l’intesa economica: secondo l’ultima relazione sulla remunerazione, nel 2018-2019 Nagel ha guadagnato 3,2 milioni di euro, Vinci è arrivato a 2,59 milioni, mentre Pagliaro si è fermato a 2,25 milioni di euro. Cifre che sono dei multipli rispetto a quanto guadagnano i vertici di Banca d’Italia (per le posizioni apicali non si arriva al mezzo milione di euro l’anno) o Jean-Pierre Mustier di Unicredit (che si è ridotto il “fisso” a 1,2 milioni anche se potrà ampiamente rifarsi con le stock option), ma meno di quanto hanno incassato (nel 2017) banchieri come Carlo Messina di Intesa Sanpaolo (5,74 milioni bonus compresi) o Andrea Mangoni di doBank (3,08 milioni). Soprattutto molto meno di quanto è stato in grado di guadagnare un altro banchiere d’affari come Giovanni Tamburi (che nel 2017 ha complessivamente portato a casa oltre 8,37 milioni di euro).

Il possibile accordo tra i soci sulle regole, per far evolvere una governance che per quanto riguarda la nomina del Ceo, come ha spiegato Ennio Doris, era figlia dell'esigenza di "difendere l'autonomia della banca dopo la fusione fra UniCredit e CapitaIia (nel 2007, insieme al 18% del capitale)", potrebbe dunque essere il primo passo di un processo che probabilmente terrà impegnati gli azionisti di Piazzetta Cuccia per buona parte dell’anno e che, secondo quanto si vocifera negli ambienti finanziari, potrebbe anche concludersi a fine anno con la designazione di un nuovo amministratore delegato.

 

 

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