Meloni invoca la golden power su Tim: quali sono le tecnicalità del progetto - Affaritaliani.it

Economia

Meloni invoca la golden power su Tim: quali sono le tecnicalità del progetto

di Marco Scotti

Per nazionalizzare la rete serve operare lo spezzatino di Tim, rivendere gli asset e poi sedersi al tavolo con Vivendi

Perché il piano della Meloni su Tim (così come viene raccontato) non può funzionare

Non esiste ancora un piano ufficiale di Fratelli d’Italia sul futuro di Tim. Quindi, ci si muove nell’enorme mondo delle ipotesi. Qualcuna Affaritaliani.it ha provato a farla con i diretti interessati, qualcun’altra è stata prodotta ascoltando le varie voci che affollano questo anomalo agosto di campagna elettorale. Dunque, quando si commentano le idee del partito dato ormai per sicuro vincitore delle prossime elezioni lo si fa aggrappandosi a questa o quella dichiarazione dei suoi esponenti, a partire dalla leader Giorgia Meloni. La quale ha parlato a lungo su Radio 24 spiegando come vorrebbe l’attivazione della golden power per risolvere una volta per tutte l’affaire Tim.

Domanda: significa che il governo, ormai venturo, vuole avocare a sé i poteri relativi alla rete? Escludendo quindi qualsiasi soggetto straniero, a partire da quel Vivendi che detiene il 23,9% del capitale di Tim? Difficile pensarlo. Soprattutto se si considera che il secondo azionista della holding, dopo Vincent Bollorè, è lo Stato francese con l’omologa di Cdp, la Caisse Caisse Des Dépôts et Consignations, con una quota del 5,35% del capitale. La strategia dovrebbe essere composta da diversi passaggi e alcuni di essi finirebbero immediatamente sotto la lente d’ingrandimento dell’Europa. Teoricamente, Tim dovrebbe procedere allo scorporo delle attività come prospettato da Labriola

A quel punto, si dovrebbe collocare in Borsa o comunque trovare un acquirente per la parte dei servizi, ovvero gli utenti, più altre tecnologie retail e business. Poi bisognerebbe procedere alla valutazione della rete e al suo riacquisto tramite la “mano pubblica”. Di Cdp? Difficile da credere, visto che la Cassa ha attivi per 1,3 miliardi e, se dovesse lanciarsi in questa avventura, andrebbe per forza di cose a fare debito, cioè a chiedere in prestito soldi che poi la collettività dovrebbe rifondere. Si dirà: è per una buona causa.

Anche qui bisognerebbe intendersi. Nel piano che Bloomberg sostiene di aver visionato si dice che Tim Brasil - di cui l'ex- Sip detiene il 66%- potrebbe essere venduta per 4 miliardi. Sarebbe una follia: intanto, perché il valore di Borsa è di quasi 6 miliardi di euro e non si capisce perché si dovrebbe svendere in questo modo valorizzando la quota in mano a Tim solo 200 milioni. Poi, ipotizzando che si applichi lo stesso criterio impiegato da Kkr quando, a novembre del 2021, formulò un’offerta per Tim, e cioè un premio del 60%, ci si avvicinerebbe alla quota di 10 miliardi, quindi la parte spettante all'azienda guidata da Pietro Labriola sarebbe oltre i 6 miliardi. Ma poi perché privarsi di Tim Brasil? Ad Affaritaliani.it Alessio Butti, che pure aveva caldeggiato questa ipotesi, non aveva parlato di cifre e aveva spiegato che quei soldi sarebbero serviti per evitare gli esuberi, non per comprare la rete. 

L'ipotesi, rivela ad Affaritaliani.it un analista vicino al dossier, è quella di "cedere ad un premio sulle attuali quotazioni di mercato per riflettere il premio di controllo, come da prassi in queste situazioni e circostanze. Presumo che ci potrebbero essere acquirenti per un asset attraente che ha da poco completato un processo di acquisizione di parte delle attività del quarto operatore e che verosimilmente beneficerà di una semplificazione della struttura del mercato mobile in Brasile, da 4 a 3 operatori in termini di sinergie commerciali e di costo". 

Una volta venduta Tim Brasil, che al momento è l’unico asset veramente fruttuoso per l’ex-Sip, bisognerebbe sedersi a trattare con i vari azionisti per portare avanti l’acquisto di ciò che resta di Tim, cioè la rete. Quanto vale? Mistero. Il ceo di Vivendi, Arnaud De Puyfontaine ha più volte ribadito che per i francesi la rete vale tra i 31 e i 34 miliardi. Si tratta di valutazioni fantascientifiche visto che, a marzo, Intermonte stimava in 16,7 miliardi il peso della rete nell’intero di Tim. E d’altronde la trattativa per la rete unica è stata finora condotta tra due società private, cioè Tim e Open Fiber che è vero che hanno una partecipazione di Cdp, ma sono anche animate da altri interessi, che vanno da Vivendi a Kkr fino a Macquarie

Ancora: la Meloni nell’intervista a Radio 24 ha ricordato l’azione di Macron e del suo governo quando ha stoppato Fincantieri nell’acquisizione di Saint Nazaire. Ma lì era un veto che veniva messo da un Paese sovrano su un’infrastruttura giudicata strategica. Qui si tratterebbe di procedere a una sorta di esproprio ex-post che farebbe sicuramente aggrottare qualche sopracciglio a Bruxelles. 

Giorgia Meloni non è decisamente una sprovveduta e può contare sui consigli di almeno tre personaggi di peso sulle vicende economiche e della rete: Guido Crosetto, Alessio Butti e Maurizio Leo. Qualcuno vicino al triumvirato l’altro giorno commentava un po’ affranto che le ricostruzioni giornalistiche portate avanti finora sono fantasiose. Si vedrà, fino a quando non ci sarà la possibilità di leggere un documento ufficiale di FdI sul tema rete si rimarrà sempre al livello dei rumor. Certo è che se si vuole rilanciare il sistema delle telecomunicazioni in Italia bisogna partire dall’assunto che si tratta di un comparto che ha grandi difficoltà ed è l’unico, tra quelli dei Paesi più importanti in Europa, a essere in contrazione.