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Economia
Mercati, petrolio presto in risalita. Parola degli analisti di Goldman

C’è da credergli? Un recupero del prezzo del petrolio nelle prossime "settimane" evitando il baratro verso cui si stanno dirigendo i mercati finanziari e con essi l’economia mondiale azzoppata dal coronavirus? Anche tenendo conto del fatto che le società americane di shale oil hanno già detto chiaramente a Donald Trump che loro ad autolimitarsi non ci pensano nemmeno, non volendo pagare loro per gli altri?

Nelle indicazioni sul trading Goldman Sachs è considerata sui mercati quasi una sorta di oracolo. Così mentre l’avvitamento del prezzo del petrolio rischia di far saltare le indebitatissime società di shale a stelle e strisce e di mettere sotto pressione i bilanci statali di Arabia Saudita e Russia, rispettivamente secondo e terzo produttore al mondo dell’ex oro nero (alle spalle degli Stati Uniti) aggravando la recessione globale e contribuendo a destabilizzare le Borse di tutto il mondo, non è passato inosservato l’ultimo report degli analisti della banca d’affari più famosa di Wall Street sui titoli del settore del greggio.

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Con gli impianti di stoccaggio della Royal Vopak NV di Rotterdam, la più grande azienda indipendente di stoccaggio del petrolio al mondo, vicini al l’esaurimento dello spazio disponibile e quelli di Cushing, in Oklahoma, piazza di scambio per il Wti e dove solitamente viene anche stoccato verso lo stop ai flussi in entrata nel giro di circa quattro settimane, gli esperti di Goldman non si scompongono e spiegano che “i prezzi negativi sui contratti future significano che i produttori sono concretamente disposti a pagare qualcuno pur di liberarsi del petrolio”.

“Questo sta già succedendo in Texas e in Canada - aggiungono - e l'andamento del greggio riflette il fatto che i detentori del contratto di maggio sono arrivati a pagare chi li potesse liberare delle loro posizioni lunghe per evitare di ricevere fisicamente il greggio il mese prossimo, quando lo spazio di stoccaggio sarà esaurito”.

pompa petrolio
 

Nell'ultima seduta di scambi prima della scadenza il future maggio è risalito a due dollari al barile sui mercati asiatici per poi assestarsi attorno a quota zero, mentre il contratto giugno cede lo 0,1% a 20,41 dollari. Il Brent con consegna a giugno, d'altra parte, perde il 10,32% a 22,93 dollari, dopo aver toccato un nuovo minimo dal 2002 a 22,85 dollari. Del resto, sottolinea Goldman, “la realtà fisica di un mercato dominato da un importante eccesso di offerta eserciterà una pressione al ribasso anche sulla scadenza di giugno”.

Ma niente paura, perché in ogni caso, secondo la reginetta di Wall Street, data “l'esistenza di uno spazio finito ancora da libero nelle riserve, la produzione dovrà essere ridotta considerevolmente per portare equilibrio sul mercato, ponendo così le condizioni per un recupero dei prezzi una volta che la domanda sarà risalita”. Quando, ad esempio, fra qualche settimana le principali economie occidentali (la Germania, locomotiva manifatturiera d'Europa, ha già iniziato) usciranno dal lockdown e le industrie nazionali torneranno a chiedere petrolio per sfornare nuovi prodotti.

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Perché questo scenario si verifichi, aggiungo infatti gli analisti, “sarà questione di settimane, non di mesi”, dato che “il mercato sarà costretto a equilibrarsi entro giugno”.

Come? Il crash del petrolio potrebbe spingere i Paesi produttori, in primis Arabia Saudita e Russia (in sede poi di Opec plus) a più miti consigli, costringendoli a superare le proprie divergenze per accordarsi su un taglio dell'output più consistente rispetto alla sforbiciata da 10 milioni di barili di due settimane fa capace di controbilanciare veramente (da inizio pandemia il fabbisogno mondiale è calato di 30 milioni di barili) il tonfo della domanda. Anche se, “con la saturazione delle riserve - avvertono i propri clienti da Goldman Sachs - la volatilità dei prezzi resterà eccezionalmente elevata nelle prossime settimane”. Poco male, almeno il baratro sarà evitato.

@andreadeugeni

 

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