Corporate - Il giornale delle imprese
La burocrazia muta blocca la produttività: senza erogazione né interlocuzione le imprese restano sole
Il problema è l’assenza di una vera comunicazione operativa tra le parti. La maggior parte dei blocchi nasce da processi comunicativi inefficienti, arcaici e frammentati

Debiti della Pubblica Amministrazione, ritardi nei pagamenti e la lenta burocrazia frenano la produttività delle imprese
In Italia c’è un tema che pesa come un macigno sulla produttività delle imprese: i ritardi nei pagamenti da parte della Pubblica Amministrazione. Un problema che conosciamo fin troppo bene, sia nei numeri che nell’esperienza quotidiana.
Secondo le stime, lo Stato Italiano ha circa 50 miliardi di euro di debiti con le imprese, spesso dovuti a ritardi cronici nei pagamenti per appalti, forniture o contributi legati a misure di sostegno e sviluppo. Un paradosso se pensiamo che, allo stesso tempo, si chiede alle imprese di innovare, assumere, investire. Ma come si fa, se mancano liquidità e certezze?
Parlo con cognizione di causa: ho lavorato per anni a contatto con il Ministero dello Sviluppo Economico (oggi MIMIT), Invitalia e molte finanziarie regionali che gestiscono fondi europei. Posso dirlo con chiarezza: la lentezza della filiera erogativa è una delle principali cause di freno alla capacità produttiva, soprattutto per le piccole e medie imprese del Mezzogiorno e per i settori più legati ai servizi.
Ma il punto vero non è solo la burocrazia, parola dietro alla quale, secondo me, si celano semplificazioni di un problema molto più profondo e facili hype di ogni genere. È l’assenza di una vera comunicazione operativa tra le parti. La maggior parte dei blocchi non nasce da norme complicate, ma da processi comunicativi inefficienti, arcaici, frammentati. Ancora oggi, la gestione delle pratiche avviene con scambi via PEC – che spesso si perdono, non vengono lette, restano sepolte tra migliaia di messaggi. I sistemi di upload/download sono lenti e superati, se esistenti, o del tutto assenti.
E soprattutto: “Ti faccio sapere” è una delle frasi che si sentono più spesso in questo Paese. Ogni volta che la sentiamo, si cristallizza una realtà grave. Perché il problema della comunicazione, della trasparenza e della relazione tra persone, tra istituzioni e imprese, è uno degli ostacoli principali alla produttività.
In questo momento mi trovo, insieme a decine di imprenditori, nella condizione aleatoria in cui la Pubblica Amministrazione, specialmente nella fase erogativa dei fondi, non dispone di piattaforme che raccontino con chiarezza lo stato di avanzamento delle pratiche. Non esiste una metodologia trasparente di comunicazione, non ci sono figure competenti e formate per fornire date certe, spiegare i problemi, indicare con chiarezza cosa manca o cosa è necessario fare.
Questo caos burocratico e comunicativo genera una giungla di telefonate, rincorse, solleciti, incomprensioni, invio di PEC stratificate. Consulenti, imprenditori e funzionari passano le giornate a rincorrersi, senza strumenti adatti, con un danno enorme in termini di tempo, fiducia e risultati.
La situazione è deleteria. Gli imprenditori vivono tutto questo con timore, con l’impossibilità concreta di pianificare le attività. Il non sapere è un freno gravissimo alla gestione aziendale e alla costruzione di progetti. È inaccettabile che ancora oggi manchino dashboard, cruscotti pubblici, sistemi integrati capaci di offrire trasparenza in tempo reale.
Il tema dell’incertezza è un problema che non è solo rappresentato dal ritardo di pagamento: è che non si hanno previsioni di quando si verrà rimborsati. Non c’è trasparenza, non ci sono standard certi di risposta. È come camminare nel buio: un rischio insostenibile per qualsiasi imprenditore che della previsione e della pianificazione ne fa la colonna portante della gestione.
Il futuro non si costruisce sulle PEC perse. Si costruisce sulle connessioni vere, sui processi snelli, sulla fiducia che nasce da una macchina pubblica che funzioni. E se i sistemi non ci sono, allora si risponda con precisione almeno al telefono. E si iniziasse a dare risposte certe di come, quando, perché e quanto.
Il silenzio oggi non è più accettabile e il “ti faccio sapere” ancora meno. Lo dico con forza anche attraverso questo articolo, un intervento che vuole porre all’attenzione pubblica il problema della comunicazione opaca, carente, a tratti assente, della Pubblica Amministrazione nei confronti delle imprese.
Non dico di inventare soluzioni futuristiche. Basterebbe un minimo di normalità: piattaforme digitali e cruscotti consultabili in autonomia con un personale formato. E se questo sembra troppo, che ci sia almeno un numero, una voce, qualcuno che possa, con certezza, dire a che punto è una pratica e quando passerà al livello successivo.
Mi rivolgo agli assessori alle Attività Produttive, ai direttori delle finanziarie regionali, ai dirigenti di Invitalia, ai funzionari del MIMIT: il problema della trasparenza e della gestione delle informazioni non può più essere considerato un tema di secondo piano. È un problema centrale. Perché genera insicurezza, improduttività e, fatemelo dire, anche clientelismo.
Mi sono stancato, infatti – come tanti – di dover fare la telefonata al politico o all’amico di turno per sapere “a che punto è la mia pratica”. Non è più accettabile. Servono trasparenza, equità, modernità. Serve che ogni imprenditore possa sapere, senza scorciatoie né intermediari, dove si trovano le proprie opportunità, i propri fondi, il proprio futuro. La produttività, oggi, passa anche, e soprattutto, da qui.