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Economia
Pensioni, quota 41 bocciata. Si va in pensione a 64 anni

Nei primi nove anni di vita della legge Fornero, dall’inizio del 2012 alla fine del 2020, il ripetuto ricorso al sistema delle “deroghe” ha aperto la strada a oltre 711mila nuovi pensionamenti anticipati, “salvaguardie” degli esodati comprese. E, scorporando i 79.260 assegni liquidati nello stesso periodo con lo strumento dell’Ape sociale e dell’Ape volontario, questi trattamenti hanno pesato per il 18,7% sul totale delle pensioni erogate, con una punta del 33,7% nel biennio scorso sotto la spinta di Quota 100 (quasi il triplo del +12% registrato fino al 2018).

A quantificare, sulla base di dati Inps e di alcune stime, il flusso di pensioni sgorgato dalle varie brecce aperte nella riforma del governo Monti è la Corte dei conti. Ma nel rapporto 2021 sul coordinamento della finanza pubblica - si legge su Il Sole 24 Ore - i magistrati contabili non si limitano a fotografare l’andamento della spesa previdenziale, che nel «prossimo biennio potrà rappresentare un rilevante elemento critico per i conti pubblici». Seppure non troppo esplicitamente, la Corte formula anche una sua proposta per gli anni successivi alla conclusione della fase sperimentale delle uscite anticipate con almeno 62 anni d’età e 38 di contributi, targata “Conte 1”: «costruire, eventualmente con gradualità ma in un’ottica strutturale, un sistema di uscita anticipata che converga su una età uniforme per lavoratori in regime retributivo e lavoratori in regime contributivo puro».

I magistrati contabili sostengono che occorrerebbe superare «in avanti» Quota 100, confermando le «direttrici di fondo» della riforma Fornero. E prospettano anche un percorso: «andrebbe esaminato il tema di come garantire una maggiore flessibilità in uscita». La Corte non fissa l’asticella per l’uscita anticipata del post-Quota 100, ma per centrare l’obiettivo di fatto guarda alla possibilità di pensionamento anticipato con 64 anni già prevista per i lavoratori interamente contributivi (chi ha cominciato a lavorare dopo il 1° gennaio 1996) se in possesso di almeno 20 anni di versamenti e sempreché il trattamento risulti di importo pari a 2,8 volte l’assegno sociale da circa 460 euro mensili. Questa ipotesi era stata già inserita nel pacchetto di opzioni valutate dalla commissione tecnica istituita a suo tempo dall’ex ministra del Lavoro Nunzia Catalfo, con una sola differenza, quella del livello minimo dell’assegno necessario che veniva abbassato a 2,5 volte la pensione sociale.

In questo caso - scrive ancora Il Sole 24 Ore - la via per uscire almeno tre anni prima della soglia di vecchiaia dei 67 anni sarebbe esclusivamente quella “contributiva” per tutti, lavoratori con carriere “miste” (in parte retributive) inclusi. E proprio quella contributiva sembra essere la strada meno complicata da percorrere per individuare una soluzione in chiave flessibile per il dopo Quota 100, anche perché produce un impatto non eccessivamente traumatico sui conti. Lo stesso presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, nelle scorse settimane ha lanciato la proposta della doppia quota: uscita possibile già a 62-63 anni (con almeno 20 anni di versamenti) ma per la sola parte contributiva della pensione maturata, per poi usufruire dell’eventuale fetta retributiva solo dai 67 anni d’età.

Anche al ministero dell’Economia, che continua a guardare con un certo distacco a percorsi agevolati d’uscita a tutto campo in deroga alla “Fornero”, le possibili soluzioni valutate nei mesi scorsi erano tutte in chiave contributiva, magari in termini di ricalcolo per i periodi d’anticipo. Compresa quella di una sorta di Opzione donna generalizzata (o soltanto per alcune categorie), che offrirebbe anche ai lavoratori uomini l’opportunità di uscire con almeno 58 anni d’età e 35 anni di versamenti ma con l’assegno, appunto, totalmente calcolato sui contributi versati. Soluzioni che non affascinano troppo i sindacati. Che continuano ad attendere di essere convocati dal ministro del Lavoro, Andrea Orlando e che insistono con la richiesta di rendere possibili, agendo su un meccanismo flessibile, anche pensionamenti con 62 anni.

Flessibilità in uscita non affatto esclusa dalla Corte dei conti. Che però considera opportuno preservare «per la componente retributiva dei trattamenti, quegli elementi di equità attuariale che informano la crescente platea di lavoratori la cui pensione è calcolata con il metodo interamente contributivo». Di qui la necessità di una soglia d’accesso anticipata comune tra lavoratori “misti” e quelli interamente contributiva per evitare che tra qualche anno si pongano «problemi di equità di trattamento tra assicurati che pur avendo iniziato a lavorare a pochissima distanza gli uni dagli altri (per esempio fine 1995 e inizio 1996) avranno l’opzione di lasciare il lavoro con diversi anni di differenza».

E non è il solo suggerimento che arriva. Nel dossier - conclude l'articolo de Il Sole 24 Ore - si lascia intendere che alcuni strumenti adottati negli utili anni, come l’Ape sociale, «potrebbero essere eventualmente e ulteriormente potenziati per tener conto delle indubbie situazioni di criticità generate, in taluni segmenti di lavoratori, dalla crisi sociosanitaria».

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