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Economia
PIangono i paperoni del tech: in un anno bruciati oltre 430 miliardi
Mark Zuckerberg

Ricconi del tech: in un anno bruciati 430 miliardi

Hanno bruciato in un anno l'equivalente del pil dell'Egitto o della Malesia, cioè 433 miliardi di dollari. Sono i Paperoni del tech, oggi un po' meno fantamultimiliardari, tornati fra noi a colpi di segni "-" registrati in Borsa. Un po' di numeri, d'altronde: Elon Musk, il sudafricano che vuole cambiare l'automotive, ha lasciato per strada oltre 100 miliardi e oggi deve accontentarsi di essere il secondo uomo più ricco del mondo, alle spalle di un Bernard Arnault che ha puntato su un business molto più fisico e ora guarda tutti dall'alto in basso, tanto da potersi permettere di registrare il suo nome come se fosse un Valentino o un Christian Dior. Mark Zuckerberg ha perso 80 miliardi, Jeff Bezos anche, Larry Page e Sergej Brin una trentina a testa, perfino il Re Mida Bill Gates ne ha persi più di 25. E il totale, appunto, fa spavento. Ma perché?

Il Nasdaq da inizio anno ha perso il 35% della sua capitalizzazione. I motivi sono molteplici. Partiamo dalle condizioni macro: la guerra in Ucraina, l'inflazione, l'incremento dei costi energetici - seppur attenuati negli Stati Uniti - hanno portato il Nasdaq a rinculare pesantemente, più degli altri listini occidentali. Da qui però partono una serie di considerazioni più di scenario. Il paradigma della gig economy è entrato in crisi perché si è rivelato una nuova potenziale bolla un po' come accaduto nel 2001 con la "bubble delle dot com". In quel caso qualsiasi sito funzionasse veniva quotato in Borsa con valutazioni monstre. Ora succede più o meno lo stesso, seppur in settori molto distanti l'uno dall'altro.

Il mondo dei pagamenti, ad esempio, è quello che più di ogni altro ha mostrato come le potenzialità non significhino per forza straordinarie opportunità. A livello globale i vari Klarna o Stripe hanno visto la loro valutazione di mercato crollare anche del 90%. Perchè il buy now Pay later è effimero e perché il fatto di offrire strumenti di pagamento, passato il disastro della pandemia, non rappresenta più un plus sensazionale. Per quanto riguarda i social network, il tracollo di Meta è sotto gli occhi di tutti: schiacciata da TikTok da una parte, raggiunto il tetto massimo di utenti (in Africa hanno altri problemi che iscriversi a Facebook) dall'altro, senza contare il problema della pubblicità online, la creatura di Zuckerberg è tracollata e oggi il suo fondatore occupa il 28esimo posto nella classifica dei ricconi mondiali, peggio di grandi magnati dell'acciaio o di altri business tradizionali come i supermercati. Per questo Meta oggi vale il 63% in meno dell'inizio di quest'anno e capitalizza poco più di 300 miliardi. Snap Inc, la "mamma" di Snapchat, vale oggi 13 miliardi e ha perso dall'inizio dell'anno oltre l'81% della sua capitalizzazione. Un disastro. 

I business innovativi come quello di Amazon patiscono parecchio. Per la prima volta la creatura di Jeff Bezos ha dovuto ridurre la propria forza lavoro e il valore dell'azienda si è dimezzato, tanto che oggi non è più nel ristretto novero delle "trilion company". I motivi del calo? Inflazione e caro energia, ma anche difficoltà di approvvigionamento nella supply chain e il caro-container hanno reso il giro di affari di Amazon meno remunerativo, con i margini che si sono ridotti di molto. Anche la scelta di puntare sui servizi di Prime - che offre consegne gratuite ma anche servizi accessori come serie tv e musica - sta pagando in parte, con la gente che ha sempre meno tempo da trascorrere in casa dopo la scorpacciata di serie tv (e consegne a domicilio) della pandemia. Così Jeff Bezos si ritrova più povero di oltre 80 miliardi e soprattutto precipitato al quinto posto nella classifica dei ricconi, preceduto - oltre che da Arnault e Musk - da Warren Buffett e il magnate indiano Gautam Adani.

Sembra anche essersi inceppato quel paradigma un po' fanciullesco della crescita continua ed esponenziale di tutto ciò che è tecnologico. Certo, in un arco di tempo sufficientemente lungo puntare su queste aziende rimane un grande vantaggio, ma in questo momento specifico ci troviamo di fronte a un impasse. Pensare che si possa sempre crescere, "no matter what", è assurdo, a maggior ragione se si crea la tempesta perfetta scarsità di materie prime-inflazione-guerra in Ucraina-caro energia. Dunque la buriana passerà, ma non è ancora il momento

Per quanto riguarda Tesla, il problema è più complesso. L'azienda di Musk non ha rivoluzionato come ci si aspettava la mobilità. In Europa nel 2035 si smetterà di produrre veicoli con motori termici. Ma tutti i competitor si stanno attrezzando e le auto di Musk costano oggettivamente uno sproposito. Per questo, tra l'altro, la domanda di auto elettriche è ancora bassina. Il magnate sudafricano, tra l'altro, si è imbarcato in una guerra improbabile per la conquista di twitter che gli è costata una montagna di soldi e che gli sta causando un danno reputazionale non indifferente. Il 2023 sarà l'anno della riscossa? Difficile dirlo, ma al momento sembra proprio di no. 

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