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Economia
Prestiti e incentivi, il vecchio conflitto d'interesse del Lingotto editore

Con una mano aperta, questuante, chiedono. Con l’altra chiusa, a mo’ di pugno, colpiscono e tengono sulla graticola il governo Conte. Il motivo? Cercare di rastrellare, come nella vecchia migliore tradizione sabauda di casa Agnelli, sentenziano le malelingue che commentano i fatti dell’editoria, i soliti incentivi che tanto farebbero bene ora a un mercato dell’auto da elettroencefalogramma piatto che a marzo, nel primo mese di lockdown, ha visto cali delle vendite di oltre l'85%. 

Non è sfuggito agli osservatori come, con la gelata dell’economia e in cantiere la fusione per creare il quarto gruppo mondiale delle quattroruote, il colosso Fiat-Chrysler, dopo aver sospeso come prerequisito il dividendo, abbia avviato subito le pratiche per accedere alla garanzia dello Stato italiano su prestiti da Banca Intesa (la stessa che aveva fatto appello agli imprenditori nostrani a riportare i capitali in madrepatria) per circa 6,3 miliardi di euro, a valere sul plafond gestito dalla Sace.

Niente di male, anzi. Perché sputare su una liquidità, merce rara di questi tempi, di cui è possibile servirsi a costi bassi (un 2,5%-3% annuo, la metà del 5%-6% ottenibile nei migliori casi sul mercato)? Fca è un campione mondiale dell'automotive e in Italia dà lavoro 56 mila tute blu, più tutti gli operai dell’indotto. 

Senonché, ricordano le malelingue, chi bussa alle porte dello Stato per fare business è lo stesso editore che sei mesi fa ha rivoluzionato il mercato dei giornali comprando Repubblica dalla famiglia De Benedetti e mettendoci 20 giorni fa l’ex direttore della Stampa Maurizio Molinari. Firma che a Torino è di casa e che le logiche di famiglia le conosce bene. 

Non è un segreto che il direttore di fiducia di John Elkann, a cui Mr Exor ha anche dato la responsabilità editoriale di tutto il gruppo Gedi, vedrebbe molto bene a palazzo Chigi al posto di Giuseppe Conte l'ex presidente della Bce Mario Draghi. Nel giorno del varo del decreto equivalente a due leggi di bilancio, la più grande manovra della storia repubblicana, Molinari ha titolato in prima su Repubblica a caratteri cubitali: “Tregua da 55 miliardi”.  

Un titolo che lascia presagire, secondo la lettura di Largo Fochetti, come la fine dell’esecutivo non sia molto lontana. Strano, perché nonostante la fisiologica litigiosità in sede di stesura del decreto monstre, dal Pd e dal M5S, i due azionisti di maggioranza dell’esecutivo, a firma apposta siano arrivate indicazioni a voler continuare spediti con l’avventura politica sino a fine legislatura. 

Nei giorni scorsi sulle pagine economiche di Repubblica, fanno notare sempre le malelingue, ha fatto capolino la parola incentivi a proposito delle vicende del mercato delle quattroruote e sempre nel giorno della bocciatura post-decretone sul sito, ben visibile a metà home page, campeggiava un forum fra gli addetti ai lavori dell’automotive dal titolo: “Per l’auto servono subito incentivi e un nuovo regime fiscale: la seconda puntata sui motori”. Richieste, messaggi ed editing (vedi sotto) che riportano all’epoca Fiat pre-Marchionne, in cui al Lingotto non ci si pensava due volte a far un uso lobbistico della stampa. 

Repu
 

E qui arriviamo al punto: non c’è un leggero conflitto d’interesse nell’uso di un organo che fa parte di un impero editoriale potentissimo (L'Espresso, Stampa, il Secolo, quotidiani locali e radio: Deejay, Capital e m2o) da parte di uno dei principali gruppi industriali italiani, che invece di informare in maniera trasparente i lettori, usa i giornali con secondi fini e racconta tutti i giorni delle vicende di quell’esecutivo dalle cui casse ora vuole attingere? 

I 6,3 miliardi richiesti da Fca sono una percentuale significativa (quasi il 4%) dei 170 miliardi complessivi che potranno essere garantiti da Sace, alle aziende di dimensioni maggiori  proprio come Fca, con questo strumento previsto dal decreto di aprile. Insomma, non sono bruscolini. Come non sarebbero neppure bruscolini gli incentivi da varare e addirittura l’eventuale introduzione di una tassazione ad hoc per il comparto automotive e per un gruppo che oltretutto ha anche la sede legale in Olanda e quella fiscale in Gran Bretagna (che fine ha fatto l'imperativo morale del Ceo di Intesa-Sanpaolo Carlo Messina?!).

Per anni il conflitto d’interesse è stato prerogativa del gruppo Mediaset e di Silvio Berlusconi. Ora un pezzo consistente dell’editoria italica non può finire vittima del fatto che Fca-Chrysler, uno dei principali attori dell’economia del nostro Paese, è anche il primo editore dello Stivale che oltre confine controlla pure il blasonato Economist.

In tutto questo, la politica che cosa fa? Tace? Che fine hanno fatto le vecchie sane intenzioni bellicose dei grillini che, già ai tempi del Conte Uno, avevano inserito il tema "lotta ai conflitti d'interesse" in cima al proprio programma di governo? Nel M5S, dunque, tutti in silenzio? Nessuno che alzi il ditino? 

@andreadeugeni

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