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Economia
Pubblica amministrazione e smart working: funziona per il 94% dei dipendenti
Smart Working

Lo smart working è stato accolto positivamente dai dipendenti della pubblica amministrazione, che vorrebbero continuare a lavorare in questa modalità anche dopo l’emergenza coronavirus.

Ecco i risultati dell'indagine 'Strategie individuali e organizzative di risposta all’emergenza' svolta da Fpa (società del gruppo Digital360) tra il 17 aprile e il 15 maggio 2020, e a cui hanno risposto oltre 4000 dipendenti pubblici. Vi hanno partecipato in totale oltre 5.200 persone, di cui l’81% (4.262) dipendenti della pubblica amministrazione. La ricerca rappresenta un’anteprima di 'Forum Pa 2020 – Resilienza digitale'.

A inizio 2020, prima dell'emergenza Covid-19 solo nel 8,6% delle pubbliche amministrazioni di provenienza degli intervistati lo smart working era una modalità di lavoro diffusa, mentre nel 45,8% era attiva una sperimentazione limitata a un gruppo di dipendenti; per il 39,2% dei dipendenti non era possibile lavorare in Smart Working nella loro organizzazione.

Per effetto delle misure per il contenimento dei contagi, lo smart working “d’emergenza” è stato introdotto nel 98,8% delle amministrazioni degli intervistati, in alcuni casi come unica misura per la gestione del personale, nel 41% dei casi accompagnato dalla presenza in ufficio a turni e nel 40,5% dalla richiesta di utilizzare ferie e riposi arretrati.

Il 92,3% degli oltre 4200 dipendenti pubblici oggetto dell’indagine di Fpa sta lavorando in smart working. Il 73,5% di questi lavora da casa per tutto l’orario di lavoro, il 18,8% compie alcuni rientri in ufficio o sospensioni del lavoro con giorni di ferie, recuperi o congedi. Gli esclusi dallo smart working sono appena il 4,7% (il 2% per scelta personale, l’1,2% perché in settori essenziali o servizi indifferibili, un altro 1,2% perché lavora in enti che non l’hanno attivato).

Se in questi anni uno degli ostacoli alla diffusione dello smart working è stata l’inadeguatezza delle dotazioni tecnologiche la soluzione è venuta dalle persone: il 68,2% del personale ha utilizzato il proprio PC, il 77,1% il proprio telefono cellulare, il 95% la connessione internet domestica, anche se il 68,3% non ha ricevuto formazione specifica sul lavoro da remoto.

I limiti tecnologici in realtà si sono rivelati un ostacolo piuttosto limitato (per il 21,8% un problema è stata la qualità della connessione e per il 19,3% le attrezzature non appropriate). Gli aspetti più problematici sono relazionali: la difficoltà a mantenere delle relazioni sociali con i colleghi (35,9%), fare i conti con una sensazione di isolamento lavorativo (27,9%), conciliare le esigenze familiari con quelle lavorative (22,3%).

Nonostante l’introduzione così rapida, il bilancio dell’esperienza di smart working è indubbiamente positivo: per l’88% dei dipendenti pubblici l’esperienza sarà preziosa una volta tornati alla normalità. Tra gli aspetti più positivi, per il 69,5% c’è la possibilità di organizzare e programmare meglio il lavoro, per il 45,7% l’avere più tempo per sé e per la propria famiglia, per il 34,9% lavorare in un clima di maggior fiducia e responsabilizzazione, per il 24% un modo di lavorare più stimolante.

Per il 52,7% degli intervistati i rapporti con colleghi e superiori sono rimasti analoghi, sono peggiorati nel 27,3% dei casi, addirittura migliorati per un altro 20%. Lavorare da casa non ha significato smettere di lavorare né lavorare male: il 73,8% di chi lo ha fatto in questo periodo è riuscito a svolgere tutte le attività in remoto. Per il 41,3% dei dipendenti PA, l’efficacia lavorativa è migliorata e per un altro 40,9% è rimasta analoga.

Il fatto che lavorare da casa non abbia determinato discontinuità lavorativa, perdita di produttività o impossibilità di collaborare acquisisce ancora più valore se si pensa che per 3 dipendenti su 10 non è stato possibile ricavarsi una stanza per lavorare, ma nel migliore dei casi (il 22,1%) è stato necessario condividerla con altri membri della famiglia, per altri (10,9%) lavorare nello stesso spazio in cui la famiglia fa altro (guarda la TV, gioca, ecc.). Per la maggior parte dei lavoratori la maggior flessibilità oraria si è tradotta in un incremento del tempo di lavoro (34,3%). Ma c’è anche un buon 26,8% a cui le cui amministrazioni hanno richiesto lo stesso orario di lavoro “da cartellino”.

Il 93,6% dei dipendenti pubblici vorrebbe continuare a lavorare in smart working se gli venisse offerta la possibilità una volta tornati alla normalità. Per la maggior parte di questi (il 66%) il lavoro da casa non deve essere full time, ma integrato con dei rientri in ufficio organizzati e funzionali. Sulla base di questo periodo di sperimentazione “forzata”, i consigli dei dipendenti per uno smart working a regime nella pubblica amministrazione sono di ripensare i processi di lavoro (57%), definire puntualmente obiettivi e risultati individuali (36,6%) fare formazione specifica sull’uso delle tecnologie e degli strumenti di comunicazione (31,6%) e introdurre maggiore fiducia da parte dell’azienda/ente e dei suoi vertici (22,9%).

Ma i lavoratori pubblici sono ottimisti: secondo il 61,1%, la nuova cultura basata sulla flessibilità e sulla cooperazione all’interno degli enti, fra gli enti e nei rapporti con i cittadini e le imprese prevarrà una volta finita la fase di emergenza.

L’occasione di formazione - Per il 56% dei dipendenti pubblici il periodo di lockdown ha rappresentato anche un’occasione per dedicare tempo alla formazione. Per lo più corsi di formazione a distanza, ma anche webinar di approfondimento, lettura di articoli su riviste o siti tematici, studio di saggi e manuali.

Tra i temi di approfondimento, al primo posto c’è proprio lo smart working (il 54,4%), seguito da approfondimenti su aspetti giuridici-normativi che vanno dal codice degli appalti, all’anticorruzione, alla privacy e al GDPR (45,8%) e aspetti specifici legati al Covid19 (33.2%). Ma ci si è anche formati sulle competenze digitali e sull’uso di strumenti informatici e piattaforme di lavoro a distanza e collaborazione.

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