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Economia
Spread, Tobagi (Invesco): Italia al sicuro anche con Draghi fuori dalla scena
Il premier Mario Draghi 

La view degli investitori sul rischio politico sui Btp legato all'elezione del presidente della Repubblica

In una zona euro che vede tassi in rialzo in attesa della Fed, l'obbligazionario italiano fa peggio delle controparti. Ma solo in chiusura: lo spread Btp-Bund sul decennale ha terminato a 147 punti base, ma per gran parte della giornata è stato stabile intorno a quota 141, dai 143 di ieri. Il rischio politico legato all’elezione per la presidenza della Repubblica non sembra essere eccessivamente presente nelle valutazioni l'Italia

Come mai? Affaritaliani.it lo ha chiesto a Luca Tobagiinvestment strategist di Invesco, uno dei principali operatori internazionali indipendenti nell'asset management, quotato a Wall Street (S&P 500) con uffici in più di 20 Paesi e un patrimonio gestito complessivo di oltre 1.500 miliardi di dollari.

Quirinale Luca Tobagi Invesco Draghi
Luca Tobagi

“Porrei la questione in termini diversi. In questa fase ci sono due aspetti da tenere presenti: il primo è che la vita residua di Mario Draghi al governo è comunque molto breve, anche se non venisse eletto presidente della Repubblica. Fattore di cui noi italiani siamo consapevoli, ma non forse all'estero, fra gli investitori internazionali. In questo momento, il mercato non sta prezzando un rischio politico riguardo a Draghi forse perché dall’esterno non è ben compreso che l'ex Bce possa scomparire dalla scena politica. Un rischio che invece esiste. Ma direi che i mercati si sono comportati in maniera abbastanza ordinata rispetto ai nostri spread, perché il rischio morale sul Pnrr e sulle riforme programmate è molto basso".

E cioè?
"Le richieste dell’Europa sono chiare e la strada dell’esecuzione del piano è stata ben tracciata da Draghi. Il premier ha fatto più che poteva nel delineare le prossime tappe. Gli operatori finanziari, quindi, si aspettano che Draghi stesso o chiunque venga dopo di lui possa applicare diligentemente il piano procedendo con l’execution. Oppure anche nel caso in cui ciò non avvenga, i mercati ritengono che l’Europa continui a pensare che non è suo interesse interrompere i flussi di finanziamento verso l’Italia.  Anche se il nostro Paese fosse, totalmente o parzialmente, inadempiente rispetto agli impegni presi".

Da qui, la tranquillità di fondo rispetto alla crescita e alla sostenibilità del nostro debito...
"Si, i mercati sono relativamente tranquilli sul fatto che anche in caso di rallentamenti e di incertezze future sul Pnrr, i soldi continueranno ad arrivare. Certo, ci sarebbe un po’ di turbolenza legata ad alcune incertezze contingenti, ma gli investitori sanno che al massimo ci potrebbe essere solo una riduzione dell’ammontare dei grants o dei prestiti legati al Next Generation. In futuro, si potrebbero registrare tensioni maggiori sui mercati obbligazionari nel momento in cui diventassero, invece, più serie le discussioni sulla riforma dei vincoli del Patto di Stabilità e Crescita, fra ritorno all’impianto esistente o inasprimento/allentamento delle regole. In generale, in questo momento non c’è una preoccupazione sull’Italia anche da altri punti di vista”.

Quali?
"Livello di crescita in primis e riforme strutturali impostate come quella sulla Giustizia e sulla Pubblica Amministrazione: il nostro Paese non è mai stato così ben messo rispetto all’ultimo quarto di secolo, fase in cuo ha registrato una crescita prossima allo zero e una produttività stagnante. Secondo: il Pnrr. Le due riforme che ho citato dovrebbero aumentare a regime la produttività italiana rispettivamente di mezzo e di un punto e mezzo percentuale all’anno. Infine, il mercato sta anche valutando un altro aspetto: chi detiene cioè il debito del Paese. Questi anni hanno portato la Bce e gli istituti nazionali a detenere una fetta maggiore di titoli italiani. Anche questo è un elemento che conta”.

Ma in questo scenario per i mercati e per quanti investono in titoli di Stato Italiani è meglio avere Draghi a Palazzo Chigi o al Colle?
“Dipende da quella che è la loro valutazione dello scenario. Io sarei felice di vederlo al Quirinale, perché può restarvi sette anni. A Palazzo Chigi, invece, non vi rimarrà a lungo. Comunque sia, già da settimane anche al governo, l'ex Bce sta avendo meno potere rispetto a quanto ne aveva prima. Con l’affievolirsi dell’emergenza e il riattivarsi del ciclo politico tradizionale, i partiti vogliono riprendersi i propri spazi. Tant’è che per le ultime misure, anche Draghi è stato costretto a ricorrere al Dpcm invece che al decreto legge: nei prossimi mesi, se rimanesse premier, anche per l'ex banchiere centrale sarà sempre più difficile trovare quel consenso politico per attuare ciò che ha in mente”.

Quindi, anche con Draghi al Quirinale non verrebbe meno totalmente l’efficacia dell’azione governativa nella messa a terra del Pnrr...
“Se Draghi non fosse più presidente del Consiglio bisognerebbe osservare chi verrebbe dopo di lui. A meno che non si vada ad elezioni anticipate a breve, chiunque venga dopo l’attuale premier comunque avrà un orizzonte temporale molto corto. E’ improbabile che il prossimo anno in Italia possano succedere dei cataclismi tali da destabilizzare l’impianto del Recovery Plan e la volontà di dimostrare a Bruxelles che vogliamo eseguirlo. Dopo le promesse e gli impegni presi, rimangiarsi tutto vorrebbe dire distruggere la credibilità del nostro Paese. E qui sta l’importanza di aver preparato un Pnrr ambizioso e documentato, come Draghi ha fatto. Chi arriverà dopo ha già una grande impostazione del lavoro da eseguire”.

E sulla capacità dell’Italia di incidere nel dibattito comunitario sulla riforma del Patto di Stabilità?
“Ci sarà una discussione articolata, ma dubito che il dibattito possa sfociare in una riforma che elimini tutti i vincoli. Non credo che le regole normali extra-pandemia possano essere rinegoziate in maniera più restrittiva. Lo scenario più probabile è che si ritorni all’impianto originale oppure che le nuove regole siano più flessibile e accomodanti. C'è anche da sottolineare che di fronte all’emergenza pandemica, l’Unione europea ha reagito abbastanza bene. La risposta è stata straordinaria. Con questo tipo di precedente, anche l’idea di ritornare al Patto di Stabilità com’era nella sua forma precedente al virus è meno drammatica di quello che sembra. La flessibilità ammessa dalle attuali regole è stata usata in maniera efficace e efficiente”.

Nei primi 10 giorni di novembre lo spread Btp-Bund viaggiava intorno a quota 110 punti base. Differenziale che nel giorno della conferenza stampa di fine anno di Draghi, in cui si è iniziato a ipotizzare un suo passaggio al Quirinale, era invece a quota 133, salito ulteriormente poi a 145, i livelli attuali, il 27 dicembre. Come spiega questa oscillazione del differenziale sul secondario? 
“I fattori principali sono due. Il primo è legato alla maturazione graduale, ma sempre più rapida, della pandemia con la nuova variante Omicron che ha alimentato le preoccupazioni degli operatori sull’andamento dell’economia in tutti i Paesi. Quadro che si è innestato su una situazione che già presentava delle criticità dal punto di vista dell’offerta ,come i colli di bottiglia nella filiera produttiva. Per le economie mature che si basano sui consumi il quarto trimestre dell’anno è fondamentale per la crescita. Visto che i livelli di debito sono aumentati dovunque, fattori di questo tipo hanno alimentato preoccupazioni sulla crescita del Pil, sull'andamento disordinato del rapporto debito/Pil, sulla sostenibilità dell'indebitamento, sui rendimenti obbligazionari assoluti e quindi, in battuta finale, sullo spread. Si è aggiunto poi il tema dell'energia".

Stessa dinamica...
"Sì. Nella fase finale dell’anno è esploso il problema energetico: il prezzo del gas naturale in Europa è aumentato di sette volte. Nell'ultima parte dell'anno, il tema è emerso con grande chiarezza un po’ ovunque a cui si è aggiunto un peggioramento della situazione internazionale, come il quadro fra Russia e Ucraina e la situazione in Kazakhstan. Sono rischi importanti che impattano sulla crescita, avvertiti maggiormente dai Paesi con alto debito pubblico, quindi più vulnerabili”.

@andreadeugeni

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