Svimez: meno bambini agli asili. Così il Sud è a rischio povertà - Affaritaliani.it

Economia

Svimez: meno bambini agli asili. Così il Sud è a rischio povertà

In Italia piove sempre sul bagnato: dove c’è maggiore ricchezza si trova anche una maggiore diffusione dei servizi pubblici scolastici e per l’infanzia. E sono più alti anche i livelli di qualità dell’istruzione. Poiché gli investimenti nell’infanzia sono quelli con il maggior rendimento sociale ed economico, ridurre le disuguaglianze di partenza dovrebbe essere una priorità per la politica di riequilibrio territoriale: migliorare la qualità del capitale umano, sin dai primi anni di scuola, avrebbe effetti positivi anche sullo sviluppo regionale. Aumentando dell1% il numero dei posti negli asili pubblici significherebbe far crescere dell’1,3% la possibilità che la madre lavori. Invece, nel Mezzogiorno non è così.

A questa conclusione perviene uno studio di Vittorio Daniele di prossima pubblicazione sulla rivista economica dell’organismo dello Svimez. Secondo l’indagine, se i bambini trentini ottengono punteggi più alti in italiano e matematica è anche perché fra loro il 23,3%, quasi un bambino su quattro, frequenta gli asili nido, la percentuale più alta in Italia dopo l’Emilia Romagna (26,5%). Avvantaggiati anche i bambini friulani, con una frequenza di uno scolaro su cinque (20,7%). Percentuali a due cifre anche per i bambini marchigiani (17%) e piemontesi (15%), che non a caso fanno registrare punteggi superiori ai 206 punti in entrambe le discipline. Anche i bambini umbri, che frequentano l’asilo per il 23% del totale, registrano punteggi pari a 203 in italiano e 205 in matematica.

Situazione rovesciata, invece, al Sud. La Sardegna, che segna le performances migliori nelle due discipline, ha un tasso di frequenza dei bambini agli asilo nido del 12,6%. Ma a parte il Molise, con l’11% delle frequenze, nel Mezzogiorno i bambini che vanno all’asilo nido sono davvero pochi. In Abruzzo e Basilicata meno di un bambino su dieci frequenta l’asilo: solo rispettivamente il 9,5% e il 7,3% del totale. Le cifre scendono ancora man mano che si corre giù lungo lo Stivale. In Sicilia solo 5 bambini su 100 vanno all’asilo, 4,5 in Puglia, e addirittura ancora meno in Campania (2,8%) e Calabria (2,5%). In pratica i bambini calabresi frequentano l’asilo in misura dieci volte inferiore ai bambini emiliani. Asili nido e ricchezza.

Mettendo in relazione il Pil pro capite con la diffusione di servizi per l’infanzia emerge che Emilia Romagna, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia sono sempre le regioni con il maggior numero di asili nido e tra quelle con la maggior ricchezza pro capite. Dall’altro lato, Campania, Calabria e Sicilia si confermano regioni con una diffusione minima di servizi all’infanzia e un altrettanto basso livello di ricchezza. Non a caso i servizi di childcare hanno anche un considerevole effetto sull’occupazione femminile: in presenza di asili nido molte mamme a basso reddito sarebbero incentivate a trovare un lavoro. Secondo stime, infatti, aumentare dell’1% il numero di posti nei servizi di childcare pubblici farebbe crescere dell’1,3% la possibilità che la madre lavori. A 15 anni le competenze degli studenti meridionali sono più basse rispetto alla Turchia.

Secondo lo studio dello Svimez non è solo una questione di servizi per l’infanzia, ma incide il contesto familiare e sociale che riveste un ruolo cruciale nella spiegazione dei divari regionali nelle competenze scolastiche. In questi giorni, in cui si discute di “buona scuola” e di test scolastici, bisognerebbe ricordare come l’Italia sia un paese diviso quanto a competenze degli studenti: lo dimostrano i test Ocse-Pisa, che misurano le competenze degli studenti 15enni in matematica e lettura e comprensione del testo. In base agli ultimi dati disponibili, fra gli studenti 15enni del Nord-Est, il punteggio medio in matematica (514 punti) è nettamente superiore alla media Ocse (494) e in linea con quello della Germania. Nel Sud e nelle Isole, invece, lo stesso punteggio scende a 446 punti, cioè 68 punti in meno del Nord-Est.

La povertà si trasmette fra le generazioni. Se nel Mezzogiorno un milione di famiglie (tre milioni di persone) vivono in condizioni di povertà assoluta, ancora più preoccupante è il quadro che emerge dal rischio di povertà ed esclusione sociale. Questa condizione riguarda, infatti, un numero assai elevato di persone, che nel Mezzogiorno rappresenta il 47 per cento dei bambini e il 43 per cento delle famiglie con figli minori. Una povertà non solo economica: non avere la possibilità di apprendere, sperimentare, sviluppare liberamente capacità e talenti nei primi anni di vita si traduce in povertà educativa, con relativa bassissima partecipazione ad attività culturali.

L’investimento nell’infanzia è quello con il maggior rendimento sociale. Il capitale umano non è soltanto il risultato dell’investimento in istruzione o formazione sul lavoro, ma anche il risultato dell’investimento sull’infanzia che pure è quello con il maggior rendimento sociale ed economico. Negli Usa, invece, per ogni dollaro investito quella fascia di età più bassa, il rendimento è 10 volte l’investimento. Investire sui bambini quindi paga di più che sui liceali o sugli universitari, in termini ad esempio di minore tasso di criminalità, minore povertà, migliore produttività sul lavoro, risparmio dei costi per interventi di recupero dell’istruzione, cure e spese giudiziarie, sicurezza.

Eduardo Cagnazzi