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Economia
Tim, la multa per telemarketing selvaggio e la grande ipocrisia della privacy

Qualche giorno fa l’Authority garante dei dati personali ha inflitto oltre 27 milioni di euro alla TIM per telemarketing selvaggio. Milioni di persone sarebbero state contattate ripetutamente ai loro numeri di telefono senza avere rilasciato autorizzazioni (come da legge in vigore) a ricevere promozioni commerciali. Al di la del fatto specifico, credo che sul tema privacy ci stia consumando l’ipocrisia del secolo. Se allarghiamo il discorso alla pletora di normative per la protezione dei dati personali (la GDPR) su responsabilità, titolarità e conservazione dei dati, la mia reazione è sempre la stessa: troppo tardi. Perché? Molto semplice, abbiamo barattato la nostra desiderata visibilità on line e possibilità di avere sempre servizi gratuiti in cambio dei nostri profili, ovvero la miriade di informazioni che vengono tracciate su di noi proprio quando usiamo quei servizi e quando ci lusinghiamo a pubblicare una nostra foto (e dei nostri gattini) sui social.

Qualche giorno fa Rai Tre è tornata proprio su questo tema, evidenziando le conseguenze sulla privacy a causa delle nostre facili autorizzazioni che concediamo quando, ad esempio, scarichiamo un’app. Il lungimirante scrittore Dave Egger (scrittore, non giurista o esperto di questi temi) ha scritto anni fa: ormai la nostra privacy ce la siamo giocata, punto.

Pensiamo veramente che basti ricevere qualche telefonata in meno da chi ci implora attenzione per ricevere una proposta di un qualche prodotto? Pensiamo davvero che basti un addendum contrattuale (che nessuno legge) che specifichi come i nostri dati saranno gestiti per dormire sonni tranquilli? Pensate che basti arginare un po’ di spamming via mail? Le normative sul tema di privacy hanno avuto anche l’effetto di far diventare più scaltri e abili coloro che, scientemente, vogliono entrare in ogni minuto della nostra vita. Governare la privacy oggi è come tentare di bloccare un certo modello di progresso, bisognerebbe agire su aspetti sistemici ormai impossibili da reindirizzare per come la nostra vita è cambiata. Pensiamo alla nostra giornata. Al mattino usciamo di casa, impostiamo il navigatore che ci segue come una spia, paghiamo il parcheggio con un’app, facciamo la spesa usando una carta di credito (spesso virtuale), prenotiamo il cinema on line, facciamo un bancomat per la paghetta ai figli, poi arriviamo casa e finalmente, dopo qualche acquisto su Amazon e due bonifici on line, possiamo dedicarci ai nostri social preferiti....Facebook, Instagram, Linkedin, poi, dopo aver messo a letto la moglie, qualcuno cerca compagnia su Tinder e a notte fonda chiamiamo via Skipe un amico dall’altra parte del mondo. Nel frattempo, nonostante i mille moduli a vostra “tutela”, siete stati marchiati a fuoco, e le crocette del piffero che avete impresso sui vari consensi in qualche application sapete a che servono? Servono come un palloncino bucato riesce contenere l’aria. Più si producono normative e più veniamo stuzzicati da gadget e servizi gratuiti (pensiamo anche agli spazi virtuali che ci vengono regalati per le nostre foto) in cambio di dati personali che concediamo con leggerezza. La nostra privacy, diciamocelo, siamo stati noi a svendercela in cambio della nostra desiderata onnipresenza pubblica.

Abbiamo svenduto l’anima la diavolo, e non possiamo ora fare tanta cagnara.

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