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Economia
Ue, ancora i soliti Falchi del Nord. No al fondo che salva lo spread
Foto: LaPresse

“Se si riuscisse a raggiungere un accordo definitivo su questo punto (il recovery fund da 500 miliardi di euro proposto da Angela Merkel ed Emmanuel Macron e da finanziare con il ricorso a un debito comune degli stati europei, ndr), si alleggerirebbe la pressione sulla Bce, non più costretta ad essere l’unico supporto per i mercati. Ciò dovrebbe dare un po' più di conforto agli investitori, che potrebbero impegnarsi nuovamente nel rischio europeo e che smetterebbero di temere così tanto l'impennata di emissioni da parte dei Paesi periferici”.

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La posizione di Mohammed Kazmi, macro strategist e fixed income portfolio manager di Union Bancaire Privée (Ubp) riassume bene il sentiment degli operatori sul mercato secondario dei titoli di Stato dopo che ieri l’asse franco-tedesco, il motore dell’Unione è ripartito con un piano di risanamento da 500 miliardi di euro finanziato da un debito comune degli Stati europei emesso da Bruxelles (con un principio di mutualizzazione: la Germania se ne accollerà il 27%, la quota simile a quella del bilancio pluriennale Ue) e quindi a tassi più bassi rispetto ai Paesi del Sud Europa. Debito che sarà speso attraverso il bilancio comunitario e attraverso, dunque, trasferimenti e che consentirà di allentare così la pressione sia sui debiti pubblici nazionali sia sulla Bce, in capo alla quale, com’è sempre stato nella storia dei momenti critici comunitari, è stata riposta la responsabilità del firewall contro lo spettro dei default sovrani.

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Così sui Btp è partito quello che il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri ha definito il “crollo dello spread”. A metà seduta, il differenziale fra i nostri decennali e gli omologhi Bund quota 211 punti base, ma in mattinata è sceso fino a 206. Quello che ci voleva visto che sui mercati si guarda con attenzione alle emissioni di titoli di un Paese dove il governo Conte, che deve fare i conti con una maggioranza non solidissima, si prepara ad affrontare un 2020 con un debito-Pil quasi al 156% sovrastante a un’economia affetta da un ventennio da bassa crescita strutturale. Secondo Samy Chaar, chief economist di Lombard Odier, l’annuncio congiunto di Merkel e di Macron “rappresenta un progresso molto significativo”.

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Di fronte a una crisi di questa portata, l’Unione europea, ha spiegato l’economista, potrebbe finalmente “progettare una risposta fiscale comune finanziata dal debito attraverso l’emissione di un “bene sicuro” in euro, ammissibile sia per il Programma di acquisto del settore pubblico (Pspp) della Banca centrale europea, sia per il suo Programma di acquisto d’emergenza pandemica (Pepp)”.

Tali acquisti secondo Chaar “non sarebbero controversi dal punto di vista legale” in quanto “non sarebbero soggetti alla ripartizione delle perdite”. In altre parole la Bce (di recente “bacchettata” dalla Corte costituzionale di Karlsrhue, ndr) effettuerebbe acquisti “nel proprio portafoglio”, con un limite di emittente del 50% per ogni programma.

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Inoltre, ha spiegato l’economista di Lombard Odier, il debito della Ue non verrebbe conteggiato come debito di un singolo stato membro, bensì “sarebbe considerato puro debito della Ue, oggi giudicato “AAA”, e implicitamente sostenuto dai futuri contributi degli stati membri”. Fino a pochi giorni fa, questo ultimo punto era un tabù per la Germania (e l’Olanda).

La proposta equivale al 4% del Pil della Ue in termini di nuova spesa e l’allocazione dei fondi sarà in funzione della gravità dello shock pandemico. L’Italia potrebbe quindi essere un beneficiario netto di un importo fino al 2% del suo Pil. Quindi, per oltre 35,5 miliardi di euro.

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Con la Germania che ha mandato in soffitta il rifiuto di qualsiasi forma di mutualizzazione del debito in chiave europea (rifiuto che ha sempre avuto nell’ex ministro delle Finanze oggi presidente del Bundestag  Wolfgang Schauble il suo principale alfiere) e la presidente della Bce Christine Lagarde a fornire prontamente il suo assist per l'avanzamento del processo di costruzione europea (“Il patto di stabilità va rivisto prima che rientri in vigore”) rimotivando gli Stati membri, la festa potrebbe essere rovinata dai soliti Paesi frugali del Nord. I cosiddetti Falchi, gruppetto da cui Berlino, in questa circostanza, si è sottratta.

Se l’Ecofin ha acceso il disco verde al fondo Sure da 100 miliardi per la lotta alla disoccupazione, sarà difficile ottenere lo stesso risultato sulla proposta di mutualizzazione franco-tedesca a servizio di trasferimenti (e non prestiti) con Austria, Danimarca, Svezia e Olanda che, ha fatto sapere il ministro dell'Economia francese Bruno Le Maire, sono contrari. “Sarà una partita difficile, non bisogna nasconderselo”, ha detto il titolare di Bercy. Purtroppo all'ultimo miglio, in Europa siamo alle solite. Così le borse europee hanno abbandonato l'intonazione positiva di inizio seduta e lo spread Btp-Bund ha interrotto il "crollo".  

@andreadeugeni

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