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Economia
UniCredit, l'incoerenza di Mustier. Alfiere dell'italianità dismessa
 

Ha venduto tutto il vendibile, negli oltre tre anni della sua guida a capo di UniCredit. Jean Pierre Mustier che oggi si oppone alla fusione Intesa-Ubi, chiedendo di essere parte attiva nell’istruttoria Antitrust, ha ceduto prima il risparmio gestito con Pioneer venduta ai francesi di Amundi; poi anche l’altra branch di successo Fineco da cui è uscito dal capitale in due riprese. Infine anche la partecipazione in Mediobanca è stata azzerata. Tutto in nome di un dimagrimento dell’italianità di UniCredit, troppo ingombrante, secondo il manager francese che da subito ha voluto rimarcare l’assetto “paneuropeo” della sua nuova UniCredit.

Colpevole secondo lui della debolezza di Borsa del titolo, rispetto ai competitor, per quel legame soffocante con un Paese dove il rischio sovrano e il legame con i titoli di Stato è più alto che altrove.

E infatti sta vendendo anche i Btp. In soli 12 mesi si è sbarazzato di 10 miliardi di titoli italiani, il 20% del portafoglio non rinnovando i titoli a scadenza. Un modo per ratificare ulteriormente la svolta verso la minor italianità della banca.

Ma il dimagrimento non è avvenuto solo a livello finanziario. Mustier ha tagliato operatività della banca soprattutto in Italia. Ha chiuso sportelli a go go, ha mandato a casa solo in Italia oltre 10mila dipendenti. E con questo perdendo crediti e impieghi e quote di mercato.

L’effetto è stato quello di sottopesare il ruolo e la presenza di UniCredit come banca italiana. Una strategia che ora viene di fatto quasi ribaltata, dato che Mustier si preoccupa del ruolo dominante di Intesa sul mercato italiano, che si consoliderà ulteriormante con l’eventuale fusione con Ubi.

Un cambio di rotta paradossale per un banchiere che ha giocato le sue carte più che sullo sviluppo dell’attività bancaria in Italia, sulle operazioni di dimagrimento finanziario e non solo. Tagli e cessioni che hanno ridotto le performance della banca. Nel 2016 i ricavi totali Unicredit erano di 21 miliardi oggi a malapena potrebbero arrivare a poco meno di 20 miliardi.

Solo nell’ultimo anno ha perso ricavi per l’8%, per la caduta del margine d’interesse e di una cattiva annata sul trading, solo parzialmente compensato da un aumento delle commissioni. Quindi un’attenzione più focalizzata sulla pulizia del bilancio dai crediti malati e sulle plusvalenze da cessione che sulla gestione industriale e di crescita della Banca.

Il primo trimestre ha visto i conti chiudere con una perdita di 2,7 miliardi, complice i maxi accantonamenti e le pesanti svalutazioni su Yapi. Ma anche in assenza di manovre straordinarie UniCredit avrebbe comunque chiuso in perdita.

Oggi UniCredit fa capire che la crescita di Intesa in Italia la penalizzerebbe. Ma protestare ora quando da anni la strategia è limare l’Italia quanto possibile appare un surreale cambio di rotta. Se deliberatamente fai dimagrire la tua banca, non puoi poi lamentarti se il concorrente conquista posizioni.

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