Ora che Jean Pierre Mustier ha svelato il segreto di Pulcinella, e cioè che con la scadenza di aprile non rinnoverà il suo mandato al vertice di UniCredit, in Piazza Gae Aulenti si interrogano sul futuro. Chi potrà raccogliere l’eredità del manager francese? Quali caratteristiche dovrà avere un dirigente che deve traghettare la banca verso una nuova era? I nomi impazzano, ma nessuno sembra avere tutte le carte in regola. Perché guidare la seconda banca del Paese non è questione di poco conto, indipendentemente da quello che succederà con Mps.
Prima di tutto perché bisognerà capire che cosa si vuole fare da grandi. Passati i tempi della gestione Profumo che ha lasciato andare il “treno” dell’innovazione tech mentre negli Stati Uniti un certo Steve Jobs presentava un prodotto che – forse solo al pari della lampadina – ha rivoluzionato le nostre vite e l'intermediazione bancaria; passati anche i tempi della gestione Ghizzoni, in cui, dopo il terzo aumento di capitale in tre anni (e la storica decisione di non distribuire dividendi), si era arrivati a una prima definizione di una piattaforma It con l’accordo con Ibm. Ma sono anche passati i tempi di Mustier, che ha deciso di smantellare progressivamente tutte le partecipazioni, da Pekao a Pioneer fino a Fineco per rafforzare il capitale e scrollarsi di dosso anche il rischio Italia. Una scelta comprensibile data l’esigenza di completare un ulteriore aumento di capitale nel 2017, ma anche poco lungimirante.
Quello che oggi preoccupa i mercati non è tanto l’avvicendamento al potere, dinamica tutto sommato normale in un mondo capitalistico che vede comunque le banche come le industry più “conservatrici” in materia di management. Gli investitori – che infatti hanno penalizzato UniCredit con un calo del titolo superiore al 10% - temono che la banca perda definitivamente la bussola e diventi oggetto delle scaramucce di potere per acquisire Mps.
Non è certo casuale la sequenza degli eventi: nomina di Padoan a presidente, richiesta (semi)formale del Mef di procedere all’incorporazione di un Monte dei Paschi ripulito dalle troppe magagne che ancora pesano, diniego secco e irremovibile di Mustier, abbandono del “soglio”. UniCredit si trova in un momento complicatissimo: ha un ceo dimissionario, un presidente in carica che è a scadenza e uno in pectore che non ha ancora avuto modo di entrare nelle vicende.
E dunque, si interroga: che cosa serve al nuovo amministratore delegato? Prima di tutto una visione meno “d’investimento” e più commerciale. UniCredit non è Goldman Sachs, ha una struttura completamente diversa che deve essere rispettata. Si legge in giro che la “colpa” di Mustier è solo quella di aver rifiutato Mps. In realtà paga la fretta con cui ha venduto molteplici partecipazioni per urgenza di fare cassa. Si è cercato di dare una dimensione europea (provando a fondersi con SocGen e Commerzbank) all’istituto senza però analoga solerzia in patria. Tanto che i ricavi dagli interessi, ovvero l’indicatore ultimo dell’attività commerciale della banca, sono in calo dell’11,3%.
Ma davvero l’unica mossa in direzione “innovativa” è stata quella di Buddybank, la banca interamente digitale che funziona solo su iPhone. Un po’ poco (oltretutto l'idea è maturata nella gestione Ghizzoni), se si pensa che in questi quattro anni, da quando cioè il manager francese è arrivato, in Europa è successo di tutto in materia di pagamenti. E molto altro ancora succederà: dal 1° gennaio entrerà in vigore la normativa Sca (Strong Customer Authentication), un ulteriore tassello della Psd2 che alzerà ulteriormente l’asticella tra vecchi e nuovi player.
Dunque che fare in Gae Aulenti? Prima di tutto bisogna scindere UniCredit dalla politica. I nomi di Marco Morelli e di Marina Natale, rispettivamente ex ceo di Mps e attuale capo di Amco (l’azienda statale deputata alla gestione degli Npl) sembrano quelli che vengono fatti alla vigilia dell’elezione del presidente della Repubblica, quando cioè si inizia a tastare il terreno in attesa di un radicale cambio di strategia. E dunque chi? I nomi ci sarebbero già, e avrebbero anche il vantaggio di conoscere molto bene UniCredit: Federico Ghizzoni e Roberto Nicastro.
Il primo, dopo quattro anni lontano da Piazza Gae Aulenti, magari sarebbe interessato a tornare, dopo essersi “rilassato” guidando la Fondazione del Teatro alla Scala e aver “benedetto” iniziative interessanti e dal futuro assicurato come Mdotm, lo strumento di investimento gestito dall’intelligenza artificiale. Il secondo è stato a lungo il vice di Profumo e avrebbe ambito a prenderne il posto.
Ha guidato le quattro banche salvate (Nuova Banca dell'Etruria e del Lazio, Nuova Banca delle Marche, Nuova Cassa di Risparmio di Chieti e Nuova Cassa di Risparmio di Ferrara) e ha recentemente lanciato AideXa, una fintech con licenza bancaria focalizzata sullo small business italiano. Forte di una raccolta di 45 milioni di euro, con Assicurazioni Generali in testa, ha l’obiettivo di arrivare a breakeven entro tre anni e di ottenere 100 mila clienti in cinque.
Serve, è evidente, un cambio di passo. Magari anche dal punto di vista dell’approccio: in vista di un 2021 che si preannuncia complicato per la bomba sofferenze pronta a deflagrare, più che un uomo solo al comando serve un manager capace di racchiudere le tante anime della banca. Serve qualcuno che sappia capire la forza dirompente della tecnologia ma non per questo sia un “nerd” sprovvisto delle basi politiche necessarie per reggere una sfida come questa.
Se davvero UniCredit deve crescere dimensionalmente per reggere l’urto del post-fusione Intesa-Ubi, non si può non guardare a tre istituti: Banco Bpm, Bper e, appunto Mps. Il tutto condito dalla capacità di riportare il focus di UniCredit in un’ottica commerciale, aumentando gli impieghi e riuscendo a far collimare le esigenze europee con quelle del territorio. Dici poco…
Commenti