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Economia
Variante Delta, test di massa e lockdown: in Cina il virus infetta la crescita

Sul fronte macro, i dati sulla bilancia commerciale cinese, pubblicati sabato, sono risultati inferiori alle attese, mentre i dati odierni hanno mostrato un rialzo dell'inflazione nel settore manifatturiero del Paese, aggiungendo ulteriori potenziali pressioni sulla crescita del Pil.

A luglio infatti anche i prezzi alla produzione cinesi, a seguito dell'impennata di quelli delle materie prime, specie su petrolio e carbone, sono aumentati a un ritmo elevato. Nel dettaglio, la lettura è aumentata del 9% rispetto allo stesso mese dello scorso anno, in accelerazione rispetto all'incremento dell'8,8% di giugno e al di sopra del consenso degli economisti (+8,8% anno su anno). L'aumento dei prezzi alla produzione a luglio ha eguagliato il dato di maggio, che è stato l'incremento del dato più consistente dal settembre del 2008.

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Su base mensile la lettura è cresciuta dello 0,5% a luglio, in accelerazione, anche in questo caso, rispetto al +0,3% mese su mese di giugno. Negli ultimi mesi il governo cinese è intervenuto limitando le esportazioni di acciaio e reprimendo la speculazione sulle materie prime. L'indice dei prezzi al consumo cinese è aumentato dell'1% a livello annuale a luglio, in rallentamento rispetto all'incremento dell'1,1% di giugno. Il dato ha comunque battuto il consenso degli economisti che si aspettavano una crescita dello 0,8% anno su anno. I prezzi dei generi alimentari sono scesi del 3,7% a/a dopo il calo dell'1,7% anno su anno a giugno, ma su base mensile sono aumentati a causa delle forti piogge in molte parti del Paese.

Infine, i prezzi non alimentari sono aumentati del 2,1% a luglio, rispetto all'1,7% di giugno, sostenuti dall'impennata dei prezzi del petrolio e dall'aumento della spesa per viaggi e hotel durante le vacanze estive.

La Cina è il più grande importatore mondiale di petrolio, così in un contesto dove l'Opec+ sta aumentando la produzione mensile di 400.000 barili al giorno, il rallentamento della crescita del Dragone, i timori per la diffusione della variante Delta e le quote di importazione limitate soprattutto per le raffinerie private introdotte da Pechino hanno spaventato gli investitori sulla domanda globale di greggio, frenando il surriscaldamento del costo del barile: entrambi i benchmark principali, lo statunitense Wti e l'europeo Brent, sono tornati ben sotto quota 70 dollari.

@andreadeugeni

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