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Stefano Bollani mette in musica Napoli: "C'è qualcosa di esoterico..."

Il nuovo disco del pianista jazz, e non solo, più famoso d’Italia affronta un viaggio nella canzone napoletana e tra i vicoli di una città che è “un universo parallelo in cui mi sono trovato a vagare spesso”. La nostra intervista.

di Raffaello Carabini

Immaginare Stefano Bollani nei panni di uno scugnizzo napoletano è quanto di più facile. Certo, ormai over 40 non ha più l’età, però il suo modo di porsi simpaticamente spensierato, sempre ricco di battute immediate e inattese, di punti di vista inusuali e motivati e di una disarmante quanto da lui stesso messa in dubbio sincerità ci permette di immaginarlo correre con i calzoni corti per i vicoli dei bassi cavalcando tutta l’energia partenopea.
“Napoli è una città piena di energia”, dice ad Affaritaliani il musicista milanese, fiorentino di adozione e vagabondo per mezzo mondo a portare musica. “Un’energia che viene dal sottosuolo e che la tiene in vita. Qualcosa di esoterico, che forse viene dal Vesuvio e che tutti, italiani, spagnoli, cercano da sempre di cancellare. È per questo che a Napoli ogni situazione è esacerbata, esasperata, elevata ad alta potenza, ma con tempi rallentati.”
Inevitabile che nascesse un’attrazione fatale, e un progetto musicale. Il cui fil rouge è l’album dal titolo Napoli Trip, in uscita oggi in Italia e in cinque Paesi europei, e il 17 giugno in tutto il mondo.

Perché Bollani, oltre a essere il jazzista italiano che vanta la maggiore presenza nelle nostre classifiche assolute di vendita (120 settimane), è uno dei più conosciuti a livello planetario, pluripremiato e con un trio danese pressoché stabile, oltre che abituato a collaborazioni eccellenti. Come quelle che lo affiancano qui, a cominciare da chi gli ha dato l’input a mettere in musica la sua latente napoletanità, il sassofonista Daniele Sepe. “Mi ha riempito di dischi partenopei, che mi hanno fatto confrontare con personaggi eccezionali che neppure avrei potuto immaginare. Una per tutti Ria Rosa, che chiamano “la nonna del femminismo” e che cantava in maniera forte, aggressiva, volgare, canzoni anticipatrici.” Compresa una in difesa di Sacco e Vanzetti, oltre a quelle che dichiaravano la parità dei diritti delle donne, a inizio secolo scorso: “a noi non è permesso, ma scusate, ma perché?”

Con Sepe e Bollani, sono spesso Nico Gori al clarinetto e il superbatterista francese Manu Katché, ovvero il quartetto che porterà a luglio e agosto in tournée l’intero progetto, con l’aggiunta di diverse novità (“suoniamo insieme per 20 minuti nel disco, dal vivo dovremo rimpolpare di molto il repertorio”). E se all’ensemble sono affidati gli inediti, tutti pulsanti di vitalità e di quotidianità, di “Vicoli”, “Maschere” e “Sette”, come recitano tre titoli, ovvero “le tre cose che più mi hanno colpito della città”, al pianoforte solo vengono affidati sketch da Pino Daniele, Renato Carosone, “’O sole mio” e l’unico brano cantato, dallo stesso leader, “Guapparia 2000”, del cantautore Lorenzo Hengeller.

Completano la variegata operazione due brani della tradizione (“’O guappo ’nnammurato” di Raffaele Viviani e “Il bel ciccillo” di Nino Taranto), proposti con l’ensemble di fiati di Sepe, due affidati al programmatore norvegese Jan Bang, con sample elettronici e la tromba del formidabile Arve Henriksen, e la conclusiva “Reginella” con il piano e il mandolino del brasiliano Hamilton De Holanda. “Eravamo a Rio a registrare il suo disco con Chico Buarque De Hollanda, quando Chico se n’è andato perché voleva vedere una partita. Ci è rimasto lo studio a disposizione, già pagato, così gli ho proposto di registrare questa versione, che è venuta fuori molto particolare.”
E Bollani conclude: “Continuo a giocare con la musica, come Zappa, come i Beatles, come Ravel e Satie, come Prince forse. A cercare di pensare come fanno i bambini. Stavolta, dopo Rio con Carioca, è toccato ancora a una città: mi stava bene così. Perché a Napoli si vive di estremi, in un luogo pieno di un’energia diversa, che gli stessi abitanti faticano a gestire.”

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