Brexit, occhio a giudicare. Ricordate Carlo V - Affaritaliani.it

Esteri

Brexit, occhio a giudicare. Ricordate Carlo V

Gianni Pardo

La Brexit è partita. Ora rimangono dei mesi in cui bisognerà mettersi d’accordo sui particolari, dove ha la residenza il diavolo. Ma in qualche modo a un risultato bisognerà arrivare. Chi ne soffrirà di più, la Gran Bretagna o l’Europa? La maggior parte dei commentatori ha sempre considerato l’iniziativa inglese rovinosa per il Regno Unito ma, dopo tutto, i pareri rimangono divisi. La cosa più seria che si possa dire è che saranno i fatti, a dire l’ultima parola. Dunque il commento più plausibile, perché dichiaratamente non obiettivo, può essere soltanto di tipo sentimentale e culturale. 

Anni fa ho letto da qualche parte che, secondo Carlo V (quel sovrano di Spagna sul cui impero non tramontava mai il sole), “un uomo ha tante anime quante lingue conosce”. L’affermazione può suonare azzardata o quanto meno esagerata, ma contiene più di una parte di vero. Finché si parla dei francesi o dei tedeschi, senza conoscere né il francese né il tedesco, si ha di questi europei un’idea più o meno sommaria e mitologica. Se invece si conoscono le loro lingue, si sono letti i loro giornali, si è vissuta dall’interno la loro società, la leggenda svanisce e, pur riconoscendo delle differenze fra loro e noi, si nota innanzi tutto la comune umanità. Tutti cessano di essere dei miti, tanto in positivo quanto in negativo.

Riguardo alla Brexit, quando la si votò, ricordo che, essendo inglese, ero a favore. Non perché fossi informato di tutti i particolari e delle possibili conseguenze, ma perché così sentivo. E poiché i sentimenti, in politica, valgono poco, credo di non avere neppure manifestato la mia soddisfazione quando i britannici hanno votato per la Brexit. Poi però ho visto che tutti i commenti erano negativi e mi sono posto un problema. Come mai avevo commesso quell’errore, seppure teoricamente?

La risposta me l’hanno data i giornali. Hanno votato per la Brexit più i provinciali che i londinesi, ed io non abito a Londra; più i vecchi che i giovani, ed io non sono giovane. Dunque, conoscendo un po’ la lingua inglese, ho reagito come un vecchio inglese. E dovevo interrogare me stesso, per conoscere la ragione di quel voto.

Gli anziani inglesi si sentono diversi dagli europei innanzi tutto per temperamento. Mentre i latini, ed anche i tedeschi, si levano il cappello dinanzi alla cultura, agli ideali, all’astrazione, i britannici ne diffidano profondamente. Mentre l’Europa intera si entusiasmò per la Rivoluzione Francese, gli inglesi ne diffidarono visceralmente. Anche perché loro la rivoluzione l’hanno fatta nel Seicento, e non per motivi ideali, ma per un contrasto coi monarchi sulle tasse. Per frenare l’avidità dello Stato, e le pretese del re di comando senza controllo, arrivarono a decapitare Carlo I.

Poi, mentre l’Europa si entusiasmava per Napoleone - effettivamente un gigante della storia - loro organizzavano la resistenza, fino a Waterloo. In seguito, mentre l’Italia, credendolo sicuro vincitore, si alleava con Hitler, l’Inghilterra disarmata e pressoché disperata, organizzava la resistenza fino all’ultimo uomo e all’ultima donna. Ed anche fino a mandare i bambini nel Canada, in modo che, se nella difesa fossero morti tutti gli adulti, la nazione inglese sopravvivesse. Gente così, attaccata alla propria libertà, pragmatica e allergica agli entusiasmi, solo molto difficilmente può affidare la guida del proprio Paese – seppure in parte – ai continentali. E infatti, saggiamente, gli inglesi si sono rifiutati di entrare nell’euro: perché chi governa la moneta può mandare tutto in malora, se sbaglia qualcosa. E infatti noi dall’euro abbiamo ricavato prevalentemente del bene, ma domani potremmo essere coinvolti nel disastro. 

In quanto inglese, mi sono sentito di dire all’Europa: “Sì sì, bellissime idee, bellissimi ideali, bellissima comunità. Ma io preferisco che a casa mia prendano le decisioni siano dei nostri shop keepers (dei bottegai), come Napoleone definiva gli inglesi”. Un vecchio riflesso di indipendenza, di diffidenza ed anche d’insofferenza per la mania regolamentatrice dell’Europa. La Gran Bretagna tende alla semplificazione e alla tolleranza mentre, come diceva il mio amico Peter vivendo nella mia stessa città: “In Italy nothing is simple”. 

L’Europa, che non è riuscita a riunire gli eserciti europei in una difesa comune, che non è riuscita a darsi una politica internazionale comune, che non è riuscita nemmeno ad armonizzare i sistemi fiscali ed elettorali, si incaponisce a regolamentare le minuzie sul confezionamento delle merci ed altre fastidiose quisquilie.

Naturalmente ciò non vuol dire che con la Brexit gli inglesi abbiano fatto un affare. E noi “vecchi inglesi” siamo forse attaccati all’immagine imperiale di un’Inghilterra scomparsa da tempo. Forse non comprendiamo i tempi nuovi. Ma questo lo diranno i fatti. 

Spiegare all’Europa come la pensiamo - o come la pensavamo - può essere utile a meglio capirci. E compatirci, se lo meriteremo.

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