Brexit, aveva ragione De Gaulle. Londra non doveva entrare nell'Ue
Gli inglesi hanno in programma un referendum per il 23 giugno. Devono decidere se rimanere o no nell’Unione Europea. Al recente meeting Cameron ha strappato delle concessioni a Bruxelles, ma non è detto che ne ricavi chissà quali vantaggi, per la permanenza del suo Paese nell’Unione. Come diceva sabato Marco Taradash, su ”Radioradicale”, quando si ha da fare con degli estremisti, ogni prova di moderazione e di disponibilità al compromesso, viene da loro percepita come una dimostrazione di debolezza. Ed anche del fatto che essi hanno certamente ragione. In secondo luogo, la principale concessione ottenuta da Londra – e cioè il non essere obbligata a sottoscrivere nessuna norma che implichi un’Unione più stretta degli Stati europei – corrisponde a negare la spinta centrale ed ideale che, sin dal tempo del Trattato di Roma, ha costituito il principio fondante dell’Unione.
È vero che la maggior parte degli europei ha perso la speranza di vedere un giorno gli Stati Uniti d’Europa, ma questa concessione ottenuta dalla Gran Bretagna significa che, se mai ci si arrivasse, essa non ne farebbe parte. Dunque aveva ragione De Gaulle quando si batteva per non farla entrare nell’Unione. Inoltre va notato che, anche se l’Inghilterra rimarrà in Europa, non è detto che l’Europa rimarrà nell’Unione quale era prima, perché altri Stati si apprestano a chiedere concessioni analoghe a quelle appena ottenute da Londra.
Ma tutte queste considerazioni sono inutili, nel momento in cui è annunciato un referendum: perché in questi casi non si ha un voto “politologico” ma un voto popolare. I cittadini non sono specialisti di politica e neppure di storia o di economia. Soprattutto nel caso di un referendum istituzionale, votano “con la pancia”, dando retta a suggestioni o a fatti significativi e coinvolgenti. Elementi che sono capaci di mettere in ombra anche fattori più importanti e meno appariscenti.
Consideriamo il referendum italiano del 1946 tra repubblica e monarchia. Quanto pesò il comportamento del re nei confronti di Mussolini – dall’arrendevolezza all’arresto – e soprattutto la sua fuga a Pescara? La fama di Maramaldo e di vile finì con l’affossare una dinastia che pure non aveva particolarmente demeritato, prima, e forse non avrebbe neppure particolarmente demeritato, dopo. E infatti i belgi si tennero il coraggioso re Leopoldo. Per così dire nessuno si pose seriamente il problema se, come forma di governo, fosse migliore la repubblica o la monarchia. Sentimentalmente, il referendum fu su Vittorio Emanuele III.
Bisogna guardare al referendum inglese con lo stesso metro. Per la maggior parte i competenti dicono che al Regno Unito converrebbe rimanere nell’Unione (e questa pare sia anche l’opinione della City) ma quanto peseranno l’indipendentismo inglese, la tradizionale diffidenza nei confronti del Continente, il rancore nei confronti del burocratismo bruxellese? Attualmente i sondaggi parlano di un 15/20% di indecisi, dunque è meglio non fare previsioni. Al massimo potremmo chiederci: come voterei nei panni di un inglese, o, come dicono loro, nelle sue scarpe?
In un certo senso è una domanda futile. Noi viviamo in un Paese che della retorica europeista ha fatto un’indigestione, da decenni. Tanto che dire male dell’UE per alcuni è una sorta di bestemmia. Al contrario si può star sicuri che gli inglesi – abituati a dire pane al pane e birra alla birra – sono sottoposti ad un ben diverso tipo di condizionamento. Poi noi tendiamo a considerare ciò che non è italiano migliore di ciò che è italiano, mentre gli inglesi hanno un atteggiamento opposto. Insomma, forse a quella domanda bisognerebbe reagire allargando le braccia.
Personalmente tuttavia so che voterei contro la permanenza nell’Unione non perché essa non presenti dei vantaggi o per odio contro il “Continente”, ma per una ragione diversa: l’Europa ha accumulato una tale quantità di problemi finanziari irrisolti, che da un momento all’altro potrebbe essere preda di una crisi economica tanto devastante da coinvolgere non soltanto quelli che oggi sono considerati i Paesi “spensierati e colpevoli”, come l’Italia o il Portogallo, ma anche i Paesi considerati “virtuosi e responsabili”, come la Germania o l’Olanda. È vero che Londra ha avuto la saggezza di non entrare nell’eurozona, ma a me – inglese – rimarrebbe ancora abbastanza paura per non volere più avere a che fare con un sodalizio posto su una bomba con la miccia accesa.
Potrei sbagliare, naturalmente. E anche il mio governo, quello il cui capo alloggia a Downing Street, potrebbe sbagliare. Ma lo stesso preferirei un errore nazionale ad un errore internazionale di Bruxelles.
Forse sono più inglese di quel che credevo.
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