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Esteri
Coronavirus dopo Hong Kong e trade war: Xi si gioca il futuro della Cina

L'anno del Topo è appena cominciato, ma è stato finora molto severo con la Cina. La diffusione del coronavirus sta producendo non solo un'emergenza sanitaria ma anche un nuovo isolamento internazionale, simboleggiato dalla decisione dell'Italia (primo paese del G7 ad adottare una misura così drastica) di fermare le connessioni aeree fino al prossimo 28 aprile. E' difficile prevedere come Pechino uscirà da questa crisi: sulla sua gestione il governo cinese si gioca molto, sia a livello di immagine globale sia a livello interno. E si gioca molto lo stesso Xi Jinping, che non aveva certo bisogno di questa epidemia in un momento geopolitico già abbastanza complesso, con questioni interne o regionali irrisolte e sfruttate dai rivali in maniera strumentale. Meno di due anni fa, il presidente ha ottenuto la rimozione del vincolo dei due mandati. Era, almeno per ora, il culmine del suo splendore. Da allora sono successe molte cose, tanto che c'è chi si azzarda a dire che la gestione del coronavirus sarà decisiva per la sua leadership.

LA SFIDA DI PECHINO SUL CORONAVIRUS

Partiamo dal virus. In questo momento Pechino si trova sull'insidioso crinale tra successo e fallimento: reazioni epocali come una quarantena per 56 milioni di cittadini sarebbero inapplicabili altrove. "Se la Cina limitasse i danni questa situazione potrebbe anche portarle un vantaggio, anche perché potrebbe mettere in mostra un successo gestionale difficilmente riproducibile nel resto del mondo" ha spiegato ad Affaritaliani Giuliano Noci, prorettore del Polo territoriale cinese del Politecnico di Milano. "Saranno decisive le prossime due settimane. Se il contagio inizierà a ridursi in maniera significativa la Cina ne uscirà in maniera positiva, se invece i casi aumenteranno si potranno fare discorsi diversi".

Opinione simile quella di Filippo Fasulo, direttore del Centro Studi per l'Impresa di Fondazione Italia Cina: "Nel medio periodo il fatto di dover attraversare due crisi sanitarie gravi in due decenni potrà avere qualche effetto, ma siamo in un momento in cui nulla è certo", ha dichiarato ad Affaritaliani. "Anzi, se invece gestirà la crisi con efficienza, la Cina potrebbe anche migliorare la propria immagine pubblica". In caso di mancato contenimento dell'emergenza nel medio periodo, però, il rischio di ripercussioni politiche potrebbe esistere. E potrebbero tornare a galla le voci sui ritardi nella comunicazione interna sulla crisi, complice anche qualche cortocircuito a livello locale.

LE PRESSIONI ESTERNE SU HONG KONG E XINJIANG

Il coronavirus è solo l'ultima questione che Pechino è costretta ad affrontare. Il dossier Hong Kong non è ancora chiuso. Le proteste, seppur in misura minore rispetto a qualche mese fa, proseguono. La firma dell'accordo sulla cosiddetta "fase uno" ha momentaneamente "silenziato" gli Stati Uniti sul tema dell'ex colonia britannica, così come su quello dello Xinjiang e degli uiguri, ma Washington è pronta a riutilizzare entrambi di nuovo, in maniera strumentale come già fatto negli scorsi mesi. 

IL NODO TAIWAN, IL RITROVATO CORAGGIO DEI COMPETITOR ASIATICI

C'è poi Taiwan, considerata una provincia ribelle da Pechino, dove alle elezioni dello scorso 11 gennaio è stata confermata la presidente Tsai Ing-wen, che non riconosce il consenso del 1992 (che stabiliva il principio dell'unica Cina nei rapporti sullo Stretto) e che porta avanti una politica identitaria di emancipazione dai rapporti economici e politici con Pechino. 

La diffusione del coronavirus costringe Pechino a concentrarsi sull'emergenza sanitaria, per forza di cose togliendo qualche attenzione ai dossier geopolitici in cui è coinvolta. E non è un caso che i paesi dell'area abbiano assunto una postura più assertiva su temi collegati alla Cina nelle ultime settimane. E' il caso dell'Indonesia in merito alle dispute nel Mar Cinese Meridionale. E' il caso del Giappone, con il primo ministro Abe Shinzo che ha apertamente richiesto l'ammissione di Taiwan nell'Organizzazione Mondiale della Sanità.

LA DISPUTA IRRISOLTA (FORSE IRRISOLVIBILE) CON GLI USA

Se a tutto questo ci si aggiunge la disputa commerciale, tecnologica (e geopolitica) irrisolta e forse irrisolvibile fino in fondo con gli Stati Uniti, si comprende che per Pechino il momento è delicato. Il rallentamento economico ha provocato qualche scossone interno, in particolare intorno alla Belt and Road, con alcune voci interne che iniziano a mettere in discussione alcuni investimenti "a perdere" all'estero. 

Si tende spesso a presentare la politica cinese come un monolite immutabile ma la realtà è più complessa. L'immagine esterna del Partito è monolitica, ma la dialettica interna è sempre esistita. Persino Xi, uno degli uomini più potenti al mondo, è chiamato a gestire al meglio le diverse questioni aperte in cui è coinvolto per non scoprirsi improvvisamente più fragile. Se ce la farà potrebbe persino scoprirsi più forte.

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