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Esteri
Elezioni Kirghizistan, parlamento filo presidenziale. L'opposizione protesta
Il presidente Sooronbay Jeenbekov durante le operazioni di voto

Tutto si può dire, tranne che sia un momento tranquillo per i paesi che facevano un tempo parte dell'ex Unione Sovietica. Basti pensare a quanto sta accadendo in Bielorussia, con la crisi dell'Ucraina che attende ancora di essere risolta. Ora qualche turbolenza può arrivare anche in Asia centrale. Nel giro di una settimana, infatti, due ex repubbliche sovietiche (a oltre quattromila chilometri di distanza da Minsk) sono chiamate al voto: Kirghizistan e Tagikistan.

Domenica 4 ottobre si è cominciato con le elezioni legislative kirghize, nel paese politicamente più irrequieto della regione. E i partiti considerati in qualche modo vicini al presidente Sooronbay Jeenbekov hanno ottenuto un successo netto. Birimdik, il partito di sinistra di Asylbek Jeenbekov (fratello minore del presidente) è arrivato primo con il 24,9% dei voti (che, secondo Asia Elects, corrispondono a 46 dei 120 seggi del Consiglio supremo, il parlamento locale). Secondo il partito di centrodestra Mekenim (vicino alla potente famiglia Matraimov, finanziatore della campagna di Jeenbekov) con il 24,3% dei voti e 45 seggi. I restanti 29 seggi vanno al presidenzialista Kyrgyzstan Party (16) e al nazionalista Butun (13). 

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Operazioni di voto in Kirghizistan

Tutti gli altri partiti (al voto ne partecipavano 16) sono rimasti al di sotto della soglia di sbarramento del 7%. Confermate così le previsioni della vigilia, con molti analisti che consideravano quasi scontato un parlamento pressoché interamente filo presidenziale.

Ma questo non siginifica che la situazione sia sigillata, quantomeno al di fuori dei palazzi politici. Va intanto sottolineata una affluenza bassa, la più bassa dai tempi dell'indipendenza. Solo il 56,2% degli aventi diritto si sono infatti presentanti alle urne. Un abisso rispetto al 92% del 1990 ma comunque al di sotto anche dell'ultimo voto legislativo del 2015, quando aveva votato il 58,9%. Su questo dato ha certamente inciso la pandemia da coronavirus. Il Kirghizistan è infatti il paese finora più colpito dal Covid nell'area, con oltre 47 mila contagi. 

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Il presidente Jeenbekov con Vladimir Putin

Ci sono poi le proteste di chi è rimasto fuori dal parlamento. Tre dei partiti esclusi non hanno riconosciuto l'esito del voto denunciando irregolarità. Janar Akayev, leader di uno di loro, ha annunciato proteste "radicali", come riporta Al Jazeera. E a Biškek sono cominciate le proteste, con diversi cittadini scesi per strada a scandire slogan contro i partiti al potere e contro la corruzione. Dubbi sui risultati del voto sono stati espressi anche da Thomas Boserup, capo della missione elettorale dell'Ocse, che ha rilasciato una dichiarazione a mezza strada: "Le elezioni parlamentari in Kirghizistan sono state generalmente ben gestite e i candidati hanno potuto svolgere la campagna elettorale liberamente, ma le credibili accuse di acquisti di voti restano causa di seria preoccupazione".

Ad aggiungersi all'agenda delle turbolenze, anche la crisi economica che aveva già colpito il Kirghizistan negli scorsi mesi e che la pandemia ha ovviamente acuito. E poi c'è la tensione, mai del tutto sopita, sorta intorno alla sorte del caso Atambayev, l'ex presidente filorusso arrestato (e poi condannato) dopo un tentativo andato a vuoto e uno scontro a fuoco davanti alla sua abitazione. 

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