Esteri

Gaza, una bimba nasce già orfana: il cesareo d'urgenza, poi la vita. La storia

di M. Alessandra Filippi

Storia della "figlia della martire Sabreen al Sakani": la piccola è stata fatta nascere con parto cesareo dalla mamma già morta

Gaza, una bimba nasce già orfana: il cesareo d'urgenza, poi la vita. La storia

Figlia di un miracolo e di una tragedia. Frutto di una madre della quale non conoscerà mai il volto e dal cui ventre è stata estratta viva quando lei era già morta. Non ha ancora un nome, ma un nastro adesivo sul suo corpicino prematuro recita “figlia della martire Sabreen al Sakani”. Solo a Gaza può accadere di nascere orfani. Di venire al mondo senza padre né madre, senza fratelli, senza famiglia. E non perché ti hanno abbandonato, rifiutato o abdicato al compito di prendersi cura di te delegandolo ad altri. Sei orfano perché la tua famiglia te l’hanno sterminata, nel giro di un secondo. Nel cuore della notte. Senza pietà. Senza motivo. Senza scrupolo. Lei è l’unica sopravvissuta. Non fosse stato per la prontezza dei medici dell’Ospedale degli Emirati a Rafah, che hanno praticato un parto cesareo d’urgenza, sarebbe morta anche lei.

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Le sue condizioni sono subito apparse critiche. “Dopo averle fornito tutte le cure mediche necessarie, nelle ore successive si è gradualmente ripresa e possiamo dire che le sue condizioni adesso sono mediamente stabili”, raccontano i medici che l’hanno in cura, tra cui il dottor Mohammad Salama, capo dell'unità neonatale dell'ospedale degli Emirati a Rafah. “La bambina resta sotto stretta sorveglianza medica”. La piccola, che secondo la Associated Press dovrebbe prendere il nome della madre, ha sofferto e soffre ancora di gravi problemi respiratori ed è nata prematura. La madre era alla 30 settimana di gestazione, dunque alla fine del settimo mese di gravidanza. I medici dicono che “resterà nel reparto neonatale di terapia intensiva del complesso ospedaliero degli Emirati per le prossime tre-quattro settimane. Dopodiché vedremo se potrà lasciare il reparto, e soprattutto dove andrà. Alla zia, allo zio, ai nonni? Perché questa è la tragedia nella tragedia: anche se sopravviverà, è nata orfana”.

Nel raid aereo israeliano che ha distrutto la casa dove si trovava questa famiglia, insieme alla giovane madre sono morti anche il padre Shoukri, la sorellina di tre anni Malak e altre 16 persone, fra cui altri 9 bambini. Anche ieri sono stati ripetutamente presi di mira case stipate di famiglie, come è ovvio che sia in una zona dove invece di 170.000 persone sono costretti a vivere più di un milione e mezzo di sfollati. In uno degli attacchi aerei, sferrati una volta di più nella notte, sono stati uccisi 17 bambini, morti nel sonno insieme a due mamme incinte e un’anziana donna di 80 anni. Ogni giorno nella Striscia di Gaza sono in media 180 le donne che partoriscono, in condizione estreme, fra mille disagi, fra le bombe e il suono sinistro degli F16 e F35 che solcano senza sosta i cieli di Gaza. Un video messo in rete oggi dalla NBC News mostra il momento toccante in cui la nonna materna e lo zio della piccola Sabreen l'hanno incontrata per la prima volta nell'unità neonatale dell'Ospedale degli Emirati di Rafah.

Il punto adesso è: fino a quando questa piccola orfana, e tutti i bambini stipati nel reparto, potranno restare lì? Che fine faranno i pazienti e i malati stipati negli ultimi ospedali della striscia?

Non è una domanda secondaria considerato che non più tardi di ieri, in concomitanza con l’inizio della festa di Pesach, la settimana della Pasqua ebraica, fra gli sfollati di Rafah hanno iniziato a circolare i primi ordini di evacuazione stabiliti dal piano di occupazione israeliano. Il piano prevede lo sgombero di una parte di civili entro tre settimane, con il loro trasferimento forzoso vicino al mare, nell'area di Al-Mawasi designata dalle forze di occupazione come una delle poche aree sicure nella Striscia di Gaza. Ma già all’inizio di febbraio scorso centinaia di migliaia di persone erano state spinte a fuggire in quell’area, trovando solo “una striscia di terra arida, priva di risorse base come cibo, acqua o servizi igienico-sanitari”. Nello stesso mese di febbraio, in un'intervista andata in onda su Channel 4 News, il portavoce israeliano Eylon Levi, costretto a confermare se i civili sfollati verso nord sarebbero stati ancora una volta al sicuro da ulteriori bombardamenti, ha affermato che "nessun posto sarà sicuro" finché Gaza non sarà libera da Hamas.

Fonti locali confermano che l’area, abitata prima della guerra da poco meno di 2000 persone, è una landa invivibile dove prolifica ogni sorta di malattia.

Sono trascorsi 200 giorni dall’inizio di questa mattanza che nessun paese che si definisce civile e democratico ha fermato ma che ha anzi alimentato fornendo armi e munizioni per attuarlo. Ieri gli Stati Uniti hanno regalato 23 miliardi dei soldi dei contribuenti americani a Israele perché continui indisturbata il suo mostruoso genocidio a Gaza e in Cisgiordania. Deportare per l’ennesima volta un milione e mezzo di persone in un’area devastata, dove le condizioni umanitarie saranno ancora più disastrose, senza ospedali, senza strutture igieniche, senza null’altro che 40mila tende, è come condannare tutti a morte. Una camera a gas en plain air. Come confessa tra le lacrime una giovane palestinese, madre di 4 bambini e a sua volta al quinto mese di gravidanza, “trasferirci lì equivale a ucciderci”.